Quante volte vi è capitato di vedere un film commovente e magari piangere insieme a chi, in prima persona, stava vivendo quel momento particolare?
Quante volte vi è capitato di dare una mano a quell’amica che ha chiesto il vostro aiuto e alla quale non avete saputo dire di no, perché vi siete calati nei suoi panni?
Sarà capitato alla maggior parte di noi di sperimentare tutto questo, ma perché arriviamo a sentire quello che sente l’altro?
Perché se l’altro sta male, stiamo male anche noi?
Potete trovare tutte le risposte in un’unica e sola parola: empatia.
Avrete sicuramente sentito parlare dell’empatia, ma forse non tutti sapete in cosa consista davvero e come possiamo svilupparla.
Qui di seguito cercheremo di toccare proprio questi aspetti, proveremo a capire cosa si nasconde dietro il mondo dell’empatia, un mondo che vale la pena conoscere, per capire finalmente che non esiste un “io” senza un “noi”.
L’empatia: che cos’è?
Per molti di noi l’empatia è un vero e proprio superpotere, per altri un’esperienza bellissima da poter sperimentare.
Ma cos’è davvero l’empatia?
Iniziamo a definirla a partire dalla seguente definizione che credo ben rappresenti l’empatia e tutto quello che racchiude:
“L’empatia è l’atto paradossale attraverso cui la realtà di un altro, di ciò che non siamo, non abbiamo ancora vissuto o che non vivremo mai e che ci sposta altrove, nell’ignoto, diventa elemento dell’esperienza più intima cioè quella del sentire insieme che produce ampliamento ed espansione verso ciò che è oltre, imprevisto”. Edith Stein
In questa definizione compaiono parole come “esperienza più intima, “sentire insieme”.
L’empatia profuma di tutto questo, proprio perché è quella capacità che ci consente di sentire l’altro, attraverso un ascolto che va oltre le parole.
Un ascolto che si nutre di gesti, espressioni e cose non dette a voce, ma con il corpo e il suo linguaggio.
E’ proprio grazie a quest’ascolto che possiamo metterci nei panni dell’altro e sintonizzarci con i suoi stati emotivi e cognitivi.
D’altronde dietro il termine empatia ritroviamo proprio questo: en-phatos che significa sentire dentro.
Va da sé che essere empatici significa riuscire ad interpretare quelle che sono le emozioni altrui e comprenderle, secondo la prospettiva altrui.
E’ fondamentale in questo senso, ricordare, che bisogna tener conto della visione che ha l’altro, altrimenti non si parla più di empatia.
Una psicologa, Norma Feshbach, a tal proposito ha messo in rilievo quelle che sono le componenti dell’empatia, ovvero la capacità di decodificare gli stati emotivi altrui, la capacità di assumere la prospettiva altrui, ma soprattutto la capacità di rispondere alle emozioni altrui.
A questo punto vi starete chiedendo: “perché?”
Cosa c’è alla base dell’empatia? Perché siamo in grado di sintonizzarci con l’altro?
Continuiamo a leggere qui di seguito.
I neuroni specchio e il loro ruolo
Per rispondere agli interrogativi appena posti, dobbiamo mettere innanzitutto in evidenza il fatto che occorre vagliare due prospettive: quella neurobiologica e quella relazionale.
Secondo la prima prospettiva, alla base dell’empatia vi è l’attivazione dei neuroni specchio: ne avete mai sentito parlare?
Parliamo di specifici neuroni che si trovano all’interno del sistema motorio e che sembrano attivarsi quando effettuiamo un’azione o mentre osserviamo l’altro agire un’azione, ma anche di fronte ad un’azione mimata, riuscendo ad anticipare gli atti successivi all’azione che si è osservata.
Cuccio, Carapezza e Gallese, rispettivamente Dottore di ricerca in Filosofia del Linguaggio e della Mente, Professore associato di Filosofia e teoria dei linguaggi e Neuroscienziato cognitivo e uno degli scopritori dei neuroni specchio, affermano come questo sia “un meccanismo di simulazione incarnata” grazie al quale riusciamo ad emozionarci empaticamente e a comprendere il vissuto emotivo dell’altro.
Questo ci fa capire come siamo legati all’altro attraverso un legame viscerale: il sol guardare un volto disgustato o sofferente può determinare un’attivazione di questi neuroni e di conseguenza possiamo immedesimarci in modo spontaneo e calarci nei panni dell’altro.
Tutto ciò è spiegato dal fatto che i neuroni specchio, in queste situazioni, inviano alle aree somato-sensoriali segnali simili a quelli che inviano quando questi sentimenti sono sperimentati da noi.
Questi segnali passano per l’insula ed è proprio qui che le emozioni dell’altro sono codificate e vissute come fossero le proprie.
Insomma dietro una lacrima che scende sul nostro viso, alla visione di un film, c’è tutto questo, ma non solo questo.
Se l’empatia comprendesse solo un meccanismo puramente fisiologico, saremmo tutti empatici e in grado di metterci nei panni dell’altro, ma la realtà è ben diversa.
Non tutti siamo empatici e a questo sembra esserci una spiegazione.
Come dicevamo prima, se si parla di empatia, bisogna prendere in considerazione anche una seconda prospettiva: quella relazionale.
L’importanza delle relazioni primarie
Se è vero che esiste un processo primitivo che ci permette di avere i nostri primissimi legami con l’altro, è anche vero che questo non basta per parlare di empatia vera e propria, poiché questa si sviluppa anche in base a quelle che sono le nostre relazioni primarie di attaccamento.
La nostra capacità empatica, dunque, non possiede solo una base neurobiologica: come affermano, infatti, le teorie dello sviluppo altrettanto innata è la nostra capacità di entrare in relazione con la nostra figura di attaccamento, sin da subito ed è proprio dalla qualità di queste relazioni che dipende la nostra capacità empatica.
Solo se la nostra figura di attaccamento è capace di prendersi cura di noi, di cogliere e accogliere il nostro mondo emotivo, può instaurarsi un processo intersoggettivo ottimale che risulta essere la base dello sviluppo dell’empatia.
In un certo senso, funziona proprio così: più le nostre figure di attaccamento sono in grado di prendersi cura di noi, più alta è la possibilità di sviluppare la nostra capacità empatica.
Ora è chiaro perché alcuni individui sembrano non essere dotati di questa capacità?
Proprio per le esperienze che hanno sperimentato nel proprio passato: se abbiamo avuto “il privilegio” di sperimentare esperienze di comprensione empatica con i nostri genitori, da “grandi” riusciremo ad essere empatici.
Questo è ciò che si evince dalla teoria dell’attaccamento di Bowlby, il quale parla proprio dell’importanza del legame che si crea tra bambini e genitori.
A cosa serve l’empatia
Quanto detto sin’ora mette in luce una grande verità: il legame che ci unisce agli altri è profondo e viscerale.
Quando pensate di poter far a meno degli altri, ricordatevi di quanto detto sin’ora: l’empatia, d’altronde, ci insegna come la nostra capacità umana sia innata e appresa attraverso il rispecchiamento con l’Altro.
Ma soprattutto ci ricorda che non possiamo entrare in risonanza con l’altro, senza essere empatici.
E’ proprio il nostro metterci nei panni degli altri che ci consente di entrare in contatto con il loro mondo.
Non ci può essere, dunque, socialità senza empatia.
E’ grazie a questa “dote” che noi possiamo instaurare delle vere relazioni caratterizzate da autenticità e trasparenza: sentire da dentro quello che provano gli altri ci permette di capirli, capire i loro comportamenti e questo ci consente anche di poter dar vita ad una comunicazione efficace, fatta di fiducia e onestà.
Tutto questo ci porta ad instaurare e vivere con gli altri in un clima di serenità, un clima costruttivo, ma soprattutto di condivisione: grazie all’empatia inoltre possiamo, anche noi, esprimere meglio noi stessi, senza il bisogno di indossare una maschera per paura del giudizio altrui.
Non per questo l’empatia risulta essere anche uno degli ingredienti fondamentali dell’intelligenza emotiva: Daniel Goleman, psicologo, scrittore e giornalista statunitense definisce l’ intelligenza emotiva come quella “capacità di riconoscere i nostri sentimenti e quelli degli altri, di motivare noi stessi e di gestire positivamente le nostre emozioni”.
In un certo senso l’intelligenza emotiva ci permette di usare in maniera positiva le emozioni, affinchè stiamo bene noi che al contempo facciamo stare bene gli altri.
In questa visione l’empatia sembra basarsi sull’autoconsapevolezza, poichè più siamo aperti verso le emozioni, più riusciamo ad essere abili nel saper leggere i sentimenti altrui.
Come allenare la propria empatia
A questo punto vi starete chiedendo: “ma l’empatia può essere allenata o no?”
Come tutte le capacità degne di essere chiamate in questo modo, l’empatia può essere annaffiata. Come?
Vediamo qualche consiglio utile a tal proposito.
Partiamo da noi: primo passo fondamentale
Sicuramente la prima cosa da fare è cercare di porre una certa attenzione al nostro mondo emotivo: in tal senso è fondamentale riuscire a comprendere le proprie emozioni altrimenti non possiamo pretendere di comprendere quelle altrui.
Una volta analizzate e comprese, dobbiamo anche saperle gestire, però.
Dobbiamo saper gestire anche il nostro modo di reagire e il nostro modo di comunicare all’altro i nostri sentimenti.
Insomma tutto deve iniziare da noi: sicuramente non esiste un io senza un noi e lo abbiamo non solo detto, ma anche spiegato attraverso le due prospettive prese in esame.
Ma in tutto questo non dobbiamo dimenticare che non esiste un noi senza un io.
Dunque prima di comprendere gli altri, dobbiamo imparare a comprendere noi stessi, altrimenti l’empatia sarà e resterà solo una parola che non sperimenteremo mai davvero.
Ascoltiamo attivamente l’altro
Nel rapporto con gli altri è fondamentale cercare di ascoltarli davvero, attraverso un ascolto attivo, facendo dunque attenzione anche al linguaggio del corpo: un gesto, un’espressione possono dirci davvero tanto dell’altro.
Secondo lo psicologo Carl Ramson Rogers, l’empatia è infatti quell’abilità che ci permette di stabilire un contatto emotivo con gli altri attraverso una comunicazione verbale, ma anche non verbale unito ad un atteggiamento di accettazione.
In questo senso non solo dobbiamo imparare ad ascoltare l’altro, ma dobbiamo anche sospendere i nostri giudizi se vogliamo davvero comunicare, ma comunicare efficacemente.
Impariamo a comunicare meglio
A volte, senza rendercene conto, però, lo facciamo: giudichiamo l’altro ,ma in questo modo non facciamo altro che limitare la nostra visione del mondo e anche le nostre relazioni.
Quando vi rivolgete a qualcuno, dunque, chiedetevi se le vostre sono parole giudicanti.
Vi avvicinano o vi allontanano dall’altro?
Se non vi sentite vicino all’altro, potete imparare a fare le giuste domande: provate a chiedere quali siano i suoi interessi, i suoi obiettivi.
Questo esercizio vi consentirà di sviluppare la vostra empatia, proprio perché in questo modo vi darete la possibilità di vedere la realtà secondo l’ottica dell’altro, senza però perdere di vista la vostra identità.
E se qualcuno dovesse chiedervi un consiglio? Evitate di dire come dovrebbe comportarsi, secondo il vostro modo di vedere la realtà. Questo non significa essere empatici.
Anche in questo caso date all’altro ascolto e non consigli, lasciate che sia l’altro a trovare le sue soluzioni.
Insomma sicuramente è importante ascoltare, ma altrettanto importante è scegliere con cura le parole da dire e da non dire.
Per questo bisogna fare attenzione a non sottovalutare l’importanza della comunicazione.
Abbandoniamo la nostra comfort zone
Un ulteriore passo per poter annaffiare la nostra empatia?
Uscire dalla nostra comfort zone: dobbiamo darci la possibilità di comunicare con più persone per conoscere altre realtà, poiché anche questo ci permette di fare nuove esperienze e questo a sua volta non può che aiutarci ad accrescere la nostra autoconsapevolezza e la nostra curiosità.
Empatia, autoconsapevolezza e curiosità, insomma, vanno di pari passo.
Riflessioni conclusive sull’empatia
Se siete arrivati alla fine di questo articolo, avrete sicuramente maturato un’altra visione dell’empatia, una nuova visione che ci vede legati all’altro, in tutti i sensi.
L’empatia, lo abbiamo visto, è l’ingrediente fondamentale per una buona comunicazione ed è proprio attraverso una comunicazione empatica che riusciamo a stabilire delle relazioni autentiche.
Quando siete con l’altro, dunque, ricordate di portare con voi la vostra empatia: provate a focalizzare la vostra attenzione nel comprendere i suoi comportamenti e sentimenti.
Siate presenti e ascoltate, non per rispondere, ma per comprendere davvero.
Immaginate di essere quest’altra persona, come se quello che prova vi appartenesse da dentro.
Questo significa empatizzare con l’altro: niente di più e niente di meno.
Significa sfidare i propri pregiudizi, i propri preconcetti. Significa smettere di essere prigionieri dei propri stereotipi.
Così facendo non farete altro che annaffiare questo bellissimo fiore che è l’empatia.
Ed è proprio così che voglio concludere: definendo l’empatia un fiore : un fiore che può essere annaffiato in qualsiasi momento, anche iniziando ora.
Dott.ssa Alessia Pullano
Psicologa e Psicoterapeuta
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