Le Paure che bloccano la nostra Crescita Personale

In questo articolo vedremo le principali paure che bloccano la nostra crescita personale.

Dai tempi più antichi della nostra storia evolutiva, avere paura è assolutamente normale.

La paura infatti ci permette di proteggerci dai pericoli come erano un tempo gli animali feroci, le intemperie, le altezza eccessive ed è grazie ad essa che l’essere umano si è evoluto, imparando a scansare i pericoli per vivere. 

Oggi però questo meccanismo si è raffinato al punto da trasformare la paura in svantaggio: questo  perché il nostro cervello sviluppa paura anche di fronte a situazioni neutre o comunque non oggettivamente fobiche. 

Mentendoci quindi, formula delle ipotesi e visto che sul piano neurologico il cervello non riesce a distinguere le situazioni reali da quelle solo immaginate, avviene il corto circuito, ed il nostro sistema ortosimpatico si attiva facendoci sperimentare paura intensa anche se spesso immotivata.

Se un essere umano prova paura per una situazione reale, possiamo immaginare quante difese innalzerà se persino la paura immaginata lo fa stare alla larga da un pericolo potenziale. 

Oggi i pericoli fisici sono molto minori rispetto a quelli di un tempo così come la percezione psicologica del pericolo.

Ecco perché oggi la paura è diventata un ostacolo, un freno che ci impedisce di vivere la vita che vogliamo: troppe persone sono bloccate dalle loro paure, che sono svariate come la paura di non essere all’altezza, quella di essere rifiutati, la paura di fallire o quella di guidare. E ce ne sono una infinità !

Questi timori ci condizionano in modo impressionante, al punto che se non vengono affrontati diventano dei veri e propri muri talmente insormontabili da non riuscire più a superarli. 

Chi soffre di fobie non vuole sentirselo dire,ma la paura va affrontata: è un richiamo che ci segnala che c’è qualcosa che temiamo e proprio perché lo temiamo dobbiamo guardarlo negli occhi.

Non si deve assolutamente evitare, scappare dai nostri timori, perché se evitiamo luoghi e situazioni che ci fanno stare male la paura si ingigantisce, si allarga a macchia d’olio, sino ad interessare quasi tutte le aree della nostra vita. 

Nella vita di oggi poi prevalgono soprattutto le ansie e le paure sociali, che caratterizzano sempre di più gli esseri umani del Duemila.  

Le radici della paura

Le fobie trovano terreno solitamente nella prima infanzia.

I sintomi in genere iniziano ad avvertirsi tra i quattro e i nove anni, e a scatenarla può anche essere una visita dal dentista in cui il bambino ha avvertito dolore e si è sentito impotente davanti al medico.

Il rumore del trapano, l’odore del disinfettante o del collutorio possono imprimersi nella mente del bambino e restare a lungo in memoria, evocando sentimenti spiacevoli. Ecco quindi come può iniziare a mettere radici la fobia. 

Possono manifestare una forte fobia nei confronti degli spazi chiusi, la claustrofobia, anche quei bambini che sono stati costretti a restare in uno spazio buio e chiuso, magari per una punizione o per puro caso.

Spesso i genitori non sanno che punire in questo modo il proprio figlio può causargli problemi seri; sappiate allora che è meglio trovare punizioni alternative.

Le fobie cosiddette “semplici” vengono acquisite dai bambini anche per imitazione di un familiare. Ad esempio, se un membro della famiglia ha paura degli scarafaggi o dei ragni, il bambino può apprendere da esso questa modalità di risposta agli insetti e farla propria.

Si dice che queste fobie siano presenti nelle famiglie da lungo tempo e che appunto si possono tramandare attraverso l’imitazione. Tuttavia, le fobie non possono essere trasmesse geneticamente dai genitori ai figli. 

L’età è quindi un fattore importante nella valutazione della fobia. Nei bambini esse ruotano attorno a rumori forti, oscurità, mostri, stimoli dolorosi come sangue, aghi, iniezioni, visite mediche. 

Il cervello è pronto a sviluppare alcuni tipi di paure più di altre. Esse sono chiamate “paure preparate”. Si tratta di paure protettive e includono animali pericolosi come i serpenti, altezze significative, ecc. 

Nella preistoria il rischio di essere feriti a morte da animali feroci, quello di  annegare in acque scure e profonde e di rimanere intrappolati in piccoli spazi era frequente; per questo siamo predisposti geneticamente sin da piccoli a temere situazioni simili.

Il perché di queste paure risiede quindi nella conservazione della specie, ed è radicato profondamente nel nostro cervello  proprio per questa sua funzione adattiva ed evolutiva. 

Le cause delle fobie complesse

Le cause che sono alla base delle fobie complesse non sono ancora chiare. Si dice che siano causate da interazioni complesse tra un’esperienza spiacevole, la reazione chimica dei messaggeri neurotrasmettitoriali dell’encefalo e la genetica.

Le fobie sociali, ad esempio, si verificano dopo una precedente esperienza umiliante avuta in pubblico, una situazione che mina la fiducia che l’individuo ha di sé in società (e spesso questo tipo di fiducia non riesce a svilupparsi dopo l’infanzia).

Sia l’agorafobia che le fobie sociali iniziano a svilupparsi negli anni dell’adolescenza e proseguono sino circa ai vent’anni.

Le fobie sociali possono durare anni o influenzare negativamente l’individuo per tutta la vita e sono gravemente debilitanti, perché restringono sempre più la libertà dell’individuo e lo rendono vittima di se stesso.

Le fobie possono anche essere causate da un evento spiacevole, traumatico. A volte la paura può svilupparsi dopo un evento stressante o un lutto che non si riesce a superare e ad elaborare.

Sono coloro che sono più soggetti all’ansia a sviluppare più frequentemente ed in maniera più grave qualche tipo di fobia.

Se qualcuno assiste ad eventi molto traumatici e gravi può comunque avere serie ripercussioni e sviluppare una reazione fobica anche indirettamente: se quindi è un conoscente ad avere subito materialmente il danno, può risentirne il soggetto più ansioso.

Questo tipo di apprendimento di una paura è chiamato “condizionamento”e può anche verificarsi anche solo osservando altri in situazioni traumatiche sia nella vita reale che nei film. Può sembrare strano ma è assolutamente vero.

La paura degli spazi aperti

L’agorafobia è la fobia più diffusa tra le persone che cercano l’aiuto di uno psicologo. 

Molto invalidante, deriva dal greco e letteralmente, significa “paura della piazza del  mercato”. 

Le persone che soffrono di agorafobia hanno paura di entrare in ambienti che a loro non sono familiari, quindi evitano gli spazi aperti, le folle ed i viaggi. 

In casi estremi, il soggetto può avere paura di lasciare la propria casa o comunque il suo ambiente familiare, che è per lui molto rassicurante.

Solitamente, chi soffre di agorafobia ha delle storie precedenti in cui ha sperimentato attacchi di panico.

Queste persone hanno paura di sperimentare il terrore quando sono lontane dalla sicurezza della propria abitazione, magari in posti chiusi ed affollati, nei quali la fuga verso la sicurezza potrebbe essere difficile (come quando si viaggia su un treno, aereo, su un autobus o si è a teatro). 

Gli agorafobici temono però anche gli spazi aperti e si sentono più a loro agio quando lo spazio è circondato da alberi o quando si può raggiungere uno spazio chiuso facilmente.

Gli agorafobici sono anche molto dipendenti, in generale. Molti di loro infatti soffrono anche di ansia da separazione (ad esempio paura di stare lontani dalla madre) nella fanciullezza, molto prima di diventare agorafobici. 

Mentre le fobie semplici e le fobie sociali sono abbastanza facili da curare, l’agorafobia è molto più complessa da gestire e da trattare.

La paura degli altri

Chi soffre di fobie sociali si sente molto insicuro nelle situazioni in cui si trova in mezzo alla gente o a del pubblico ed ha una paura esagerata di provare imbarazzo.

Spesso ha paura di tradire la sua ansia tramite segnali come il tremore delle mani e/o della voce, arrossire in pubblico. 

Queste paure sono in genere irrealistiche: le persone che hanno paura di tremare in pubblico solitamente non lo fanno, e coloro che temono di balbettare o di avere la voce tremante parlano normalmente.

Le condizioni più temute da soggetti sociofobici sono il mangiare in pubblico ed il parlare in pubblico.  

Le strategie

Quasi il 6 per cento degli italiani soffre di fobie specifiche. Esistono delle tecniche che possono essere efficaci per trattarle.

La Tecnica del peggior scenario

Provare a non pensare alla nostra paura è il modo migliore per continuare a farlo.

Se, invece, ipotizziamo quali sono le conseguenze peggiori che deriverebbero dal trovarci a vivere la situazione temuta, possiamo riuscire a togliere potere alla fobia e a “smontarla” gradualmente: basterà concentrarci sulle conseguenze peggiori e, a forza di farlo e di rivedere le stesse immagini nella nostra mente, riusciremo ad “anestetizzarci” , ad abituarci ad esse.

Ecco quindi che, dicono gli esperti, avremo sempre meno paura.  

La Tecnica dei piccoli passi 

La nostra paura va affrontata ma non tutta di colpo: facendo dei piccoli passi, procedendo con calma, potremo affrontarla a “tappe” ed ogni passo che avremo fatto ridimensionerà la nostra paura.

Avverrà quindi un rafforzamento emotivo che deriverà  dal successo dei piccoli passi che avremo compiuto. 

Esponiamoci a piccole dosi, mano a mano crescenti, per dare al nostro sistema nervoso il tempo di adattarsi a quelle sfide e rafforzarci emotivamente grazie alla percezione dei piccoli successi che quindi ci motiveranno a gestire meglio la nostra paura e ad affrontarne altre.

In quasi tutti i casi la paura psicologica è davvero un grande ostacolo per la nostra crescita personale, perché è sempre sbagliato rinunciare a vivere a causa delle nostre paure.

Una situazione nella quale si riduce la distanza da un oggetto temuto è chiamata esposizione.

Più si ha paura di una situazione, di un animale o di un contesto, più si cerca di evitarlo. Invece l’esposizione ci obbliga a ridurre la distanza rispetto a questi oggetti fobici, ed in questo modo si attiveranno dei processi che favoriscono il superamento delle fobie e dell’ansia a loro correlata.  

Terapeuticamente, l’esposizione si mette in atto attraverso dei protocolli sistematici e progressivi, quindi con regole precise e sottoposte a prova scientifica, nonché di intensità crescente. 

Sono infatti previste diverse sessioni di esposizione, che prendono il via da un livello bassissimo di intensità. Facciamo un esempio: 

Paura dei cani

Chi soffre di questa paura, quella di un animale particolare, viene sottoposto ad una esposizione controllata seguendo un percorso: si programma una scala di intensità della paura rispetto al cane ad esempio iniziando a vederlo disegnato o in foto, in modo che il soggetto percepisca il controllo sullo stimolo.

Vedere il disegno di un animale infatti sdrammatizza la sua immagine e riporta ai tempi dell’infanzia in cui era piacevole guardare i cartoni animati in televisione.

Successivamente il terapeuta può mostrare il cane con una fotografia, decisamente più realistica quindi ma che consente sempre di controllare la situazione (il cane non è dal vero per cui non può effettuare nessuna azione).  

E’ opportuno iniziare con una intensità bassa per fare in modo che il soggetto si senta al sicuro e a suo agio in presenza della fotografia dell’animale che teme, per poi passare alle fasi successive.

Si potrà ad esempio, fare guardare al paziente un brevissimo filmato senza volume in cui un cane passeggia, quindi una volta che il soggetto si sarà abituato, al filmato verrà aggiunto l’audio, in cui se sentirà il cane abbaiare. 

Tutte queste fasi sono molto graduali e assicurano al soggetto una piena tranquillità, perché egli stesso è stato istruito a dichiarare il proprio disagio se e quando si presentierà.

Il paziente sapendo quindi di potere fermare l’esposizione in qualsiasi momento,  sarà incoraggiato a proseguire e acquisirà sempre più fiducia non solo di se stesso ma anche del terapeuta. 

Nel momento in cui è programmata l’esposizione dal vivo, che avviene sempre alla fine del percorso, il paziente avrà già acquisito molte strategie di rilassamento e saprà quindi come gestire l’esposizione in modo adeguato. 

La sistematicità dell’intervento terapeutico implica che ogni giorno ci si esponga allo stimolo che causa paura e, contrariamente a ciò che fa chi ha paura, ci si deve esporre sempre e comunque, magari appunto partendo da uno stimolo poco intenso. 

L’Abituazione subentra quando il nostro organismo ed il nostro sistema ortosimpatico, che è deputato al controllo dell’ansia, se esposto progressivamente, si abitua proprio perché si è esposto diverse volte. 

Il fenomeno dell’abituazione è stato documentato  con diversi esperimenti scientifici in cui a dei soggetti venivano somministrati degli stimoli dolorosi sino a quando gli stessi hanno visto aumentare la loro soglia del dolore.

Questo ci insegna quindi che, allo stesso modo in cui il nostro corpo, abituandosi al dolore, ne percepisce sempre meno, anche la nostra mente può abituarsi a ciò che ci impaurisce, se ci esponiamo spesso alle nostre paure. 

Il Contro condizionamento prevede che, davanti alla situazione classica in cui avviene l’attivazione del sistema ortosimpatico, si apprendono strategie che attivano invece il nostro sistema para simpatico, che è l’antagonista del simpatico. 

Possiamo quindi imparare il rilassamento che è una ottima tecnica per farci calmare, sia con che senza la visualizzazione di luoghi significativi.

La Ristrutturazione cognitiva

Il circolo vizioso tipico di rimugina è:

“sono convinto che starò male quindi cercherò di evitare quella situazione”

Purtroppo questo comportamento non permette all’individuo di raccogliere le prove ed i dati che gli servono per confutare il suo pensiero distorto, anzi: anzi farà l’opposto, perché continuare a ripetersi che  starà male rafforzerà le sue convinzioni errate.  

L’esposizione invece va nella direzione opposta perché esponendo il soggetto a ciò che lo spaventa, gli farà individuare degli elementi che gli faranno pensare alla situazione temuta in un modo diverso. 

Errori che impediscono di superare le paure

La paura ci causa terrore al punto da diventare cronica se non la affrontiamo, e più tardi la affrontiamo maggiore sarà la difficoltà di superarla. 

Se non smettiamo di assecondare la paura infatti ne saremo dominati completamente.

Spesso però mettiamo in atto dei comportamenti sbagliati che non ci aiutano a guarire dalla paura ma la rafforzano:

Cercare qualcuno che faccia un compito al posto nostro oppure che ci stia accanto: il nostro ego cerca di sfruttare l’altra persona non per guarire ma per fare fare ciò che dovremmo fare noi. Questo comportamento, anche se può sembrare utile, in realtà è nocivo perché ci causa dipendenza. 

Se qualcuno ci aiuta infatti, impareremo presto a farci aiutare sempre, per cui non riusciremo ad essere indipendenti. Ecco perché non è una buona idea farci aiutare dagli altri. 

Cercare d controllare la paura attraverso un’osservazione ansiosa: pensiamo e osserviamo cosa avviene nel nostro corpo e ci chiediamo: “perché non sento ancora paura? Quando arriva?”

Ovviamente, se la andremo a cercare, la paura arriverà, possiamo starne certi! I nostri sintomi cresceranno e a causa di ciò noteremo che il nostro tentativo di controllo non funziona, inizieremo però a stare male ed arriverà l’attacco di panico.

Le persone che agiscono con coraggio sono coloro che, pur percependo la paura, ritengono che essa vada superata e non debba limitarci. 

Tra gli errori che compiamo solitamente e ripetutamente, senza accorgercene, troviamo il tentativo di provare la controllare la paura: una battaglia persa in partenza. 

I circuiti neurologici infatti sono molto potenti e antichi e la nostra razionalità non riesce ad essere efficace a gestire questa ansia. 

Provare  a parlare a tutti i costi della nostra paura può aiutare a sfogarci ma non a superarla e continuando a parlarne la faremo diventare ancora più forte e radicata in noi.

La fobia acquisterà il valore di una “narrativa personale” e diventerà davvero parte di noi. 

Dott.ssa Alessia Pullano
Psicologa e Psicoterapeuta

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    Ansia da Separazione

    L’ansia da separazione è stata a lungo considerata un disturbo che colpisce i bambini. 

    Infatti se durante lo sviluppo al piccolo vengono a mancare un genitore o una persona cara, egli subisce una scossa profonda che può portare allo sviluppo di problematiche anche nell’adulto.  

    Se chi si prende cura del bambino saprà gestire la situazione con pazienza e con le giuste rassicurazioni, l’ansia da separazione solitamente regredisce nell’arco di alcuni mesi o anni, anche senza l’intervento di un terapeuta. 

    Ciò che invece ancora è sottovalutata è la portata che questo disturbo ha sulla popolazione adulta, che può invece sviluppare il disturbo anche da “grande”.

    L’ansia da separazione può iniziare da adulti

    Alcuni ricercatori australiani hanno rilevato che l’ansia da separazione può esordire o continuare anche nell’età adulta. L’ ansia è concentrata su una o due persone care e può anche essere rivolta ad un animale domestico, come al proprio gatto o al proprio cane.

    La ricercatrice australiana che ha inaugurato gli studi sul disturbo negli adulti ha affermato che ben un adulto su 20 soffre di disturbo d’ansia da separazione. Per quanto riguarda il genere, sono solitamente le donne ad essere più colpite.

    La studiosa ha iniziato ad effettuare ricerche sull’ansia da separazione negli adulti dopo avere constatato che molti suoi pazienti adulti non rispondevano alla psicoterapia maggiormente utilizzata per curare l’ansia ed i disturbi di panico. 

    Dopo un attento esame, la Professoressa ha scoperto che i pazienti erano accomunati da una profonda dipendenza da una persona a loro cara.

    Tra essi la maggioranza delle persone aveva un buon lavoro ed una buona istruzione ed era consapevole dell’anormalità della propria condizione.

    Molti dei pazienti che sono stati al centro dello studio infatti gestivano solitamente i loro sintomi limitando le attività quotidiane, ad esempio si rifiutavano di viaggiare per lavoro adducendo scuse di vario tipo pur di non allontanarsi dalla persona da cui dipendevano emotivamente. 

    La tecnologia maschera il problema

    La tecnologia può mascherare l’esistenza del disturbo. Infatti i messaggi su whatsapp e le videochiamate forniscono a chi ha questo disturbo dei mezzi per stare in contatto continuo con la persona da cui dipendono e lo fanno in modo socialmente accettabile .

    I problemi nascono, però, quando l’allontanamento dalla persona che si ama causa un’ansia talmente grave da compromettere la qualità di vita del dipendente. 

    Tra i sintomi possono comparire disturbi del sonno ed incubi ma anche malessere generalizzato come nausea, mal di stomaco e mal di testa.

    La separazione può anche causare degli attacchi di  panico che a loro volta, se non curati, possono trasformarsi in disturbo di panico e che possono anche essere scambiati per agorafobia.

    All’inizio degli studi, i professionisti della salute mentale (soprattutto psichiatri) erano scettici sui risultati ottenuti da questa ricerca sugli adulti.

    Il lavoro condotto nel corso di quasi 20 anni – alcuni dei quali con un gruppo di ricerca con sede negli Stati Uniti guidato dalla dottoressa Katherine Shear – ha da allora confermato l’esistenza dell’ ASAD, acronimo che descrive l’Adult Separation Anxiety Disorder, ovvero il disturbo d’ansia da separazione negli adulti.

    Il lavoro pionieristico dei ricercatori australiani è stato riconosciuto dalla comunità scientifica solo quando il disturbo è stato incluso nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (il DSM5), uno dei riferimenti principali che usano gli specialisti per effettuare diagnosi psichiatriche. 

    In precedenza il manuale sosteneva che il disturbo d’ansia da separazione fosse sperimentato solo dai bambini.

    La Ricerca di un trattamento

    Le cose negli ultimi anni stanno cambiando, e la conoscenza del disturbo da parte della comunità psicologica e psichiatrica è aumentata.

    Attualmente la Professoressa Manicavasagar  sta conducendo uno studio, il primo al mondo, all’Università del Galles, per individuare un trattamento efficace dell’ansia da separazione adulta.  

    Sono in corso altre ricerche tese ad esaminare ed identificare i fattori che contribuiscono allo sviluppo del disturbo.

    Alcuni ricercatori ad esempio sostengono che la patologia potrebbe essere la conseguenza di una grave perdita o comunque di un dolore, ma sono necessarie ulteriori ricerche.

    Se sentite di avvertire un forte disagio quando siete lontani da una persona per voi importante, e provate il bisogno di avere un contatto molto costante con lei al punto da stare male, provate a consultare uno psicologo.

    Un professionista esperto sarà in grado di utilizzare la terapia per esaminare i pensieri che sono alla base della vostra preoccupazione. La terapia inoltre aiuta a mettere in atto le giuste strategie per gestire l’ansia ed i suoi sintomi.

    L’ansia da separazione nei bambini

    L’ansia da separazione può iniziare prima del primo compleanno di un bambino e può ripresentarsi o durare fino a quando il piccolo compie i quattro anni.

    Tuttavia, sia il livello di intensità che i tempi dell’ansia da separazione variano enormemente da bambino a bambino.

    Un po ‘di preoccupazione nel lasciare la mamma o il papà è normale, anche quando un figlio è più grande. Si può alleviare l’ansia da separazione restando pazienti e coerenti e ponendo dei limiti in modo gentile ma deciso.

    Alcuni bambini, tuttavia, sperimentano un’ansia da separazione che non scompare, neanche se il genitore compie i suoi sforzi più immani.

    Questi bambini sperimentano la continuazione o il ripetersi di un’intensa ansia da separazione durante l’età della scuola elementare (primaria) o anche oltre.

    Se l’ansia da separazione è così eccessiva da interferire con le normali attività come frequentare la scuola e avere amicizie e dura mesi anziché giorni, potrebbe essere il segno che esiste un problema più grande: il disturbo d’ansia da separazione .

    Come alleviare l’ansia da separazione 

    Per i bambini con normale ansia da separazione, ci sono passaggi che possono essere adottati per rendere più facile il processo di separazione.

    Abitualo alla separazione

    Lascia tuo figlio con una baby-sitter per brevi periodi e, almeno inizialmente, per brevi distanze. Man mano che tuo figlio si abitua alla separazione, puoi gradualmente partire per restare via più a lungo e viaggiare più lontano.

    Programma  

    E’ utile programmarli dopo i sonnellini o le poppate. Infatti i piccoli sono più suscettibili a soffrire di ansia da separazione quando sono stanchi o affamati.

    Crea rituali

    I rituali sono rassicuranti e anche facili da mettere in atto, trasmettono affetto e vicinanza e possono consistere in un saluto speciale dalla finestra o in un bacio per salutarsi quando ci si commiata. Fate in modo che tutto avvenga in modo naturale, così potrete passare alla fase successiva con più serenità

    Parti senza clamore 

    Di ‘a tuo figlio che stai uscendo ma che tornerai, poi vai – non fermarti e non fare diventare il momento della separazione più grande di quanto non sia.

    Mantieni le promesse

    Affinché tuo figlio sviluppi la fiducia che serve per poter gestire la separazione, è importante che ritorni nel momento in cui hai promesso di farlo, altrimenti non si fiderà più.

    Mantieni un ambiente familiare 

    Quando possibile, è molto utile rendere familiare il nuovo ambiente. 

    Fai venire la baby-sitter. Quando tuo figlio è lontano da casa, incoraggialo a portare con sé il suo gioco preferito ma anche un oggetto familiare, che gli ricordi di te in modo piacevole e rassicurante.

    Sii coerente

    Se assumi una baby-sitter o qualcuno che comunque si occupa di tuo figlio, cerca di non effettuare cambiamenti frequenti anzi: evita di creare incongruenze nella sua vita e piuttosto fai in modo che sia sempre la stessa persona a prendersi cura di lui quando tu non ci sei.

    No a film violenti 

    È meno probabile che tuo figlio abbia paura quando ti allontani da lui se i film e ciò che guardi alla tv non sono spaventosi, come i film horror, i documentari su fatti di cronaca nera e, a volte, persino i telegiornali.

    Sii fermo

    Rassicura tuo figlio sul fatto che, anche se non ci sarai per un po’, starà bene: stabilire dei limiti coerenti lo aiuterà ad adattarsi alla separazione.

    Cos’è il disturbo d’ansia da separazione?

    Il disturbo d’ansia da separazione non è una normale fase di sviluppo, ma un grave problema emotivo caratterizzato da estrema angoscia quando un bambino è lontano dalla madre o da chi si prende cura di lui. 

    Non è facile individuarlo poiché condivide alcuni sintomi tipici della normale ansia da separazione, quindi non è immediato riuscire a capire se il proprio figlio ha solo bisogno di più attenzioni e di più comprensione oppure se ha sviluppato un disturbo vero e proprio. 

    Le principali differenze tra la normale ansia da separazione e il disturbo d’ansia da separazione sono l’intensità delle paure del bambino e se queste paure gli impediscono di svolgere le normali attività di ogni giorno

    I bambini che soffrono di disturbo d’ansia da separazione si agitano solo al pensiero di dover stare lontani dalla mamma o dal papà e spesso accusano malesseri vari per evitare di stare con gli amici o di andare a scuola. 

    Quando i sintomi sono gravi, queste paure si possono sommare al disturbo. Ma anche se al momento della separazione dal genitore il bambino si agita, bisogna specificare che il disturbo può essere curato: anzi, lo stesso familiare può fare molto per farlo sentire più sicuro ed alleviare queste spiacevoli sensazioni. 

    Sintomi del disturbo d’ansia da separazione

    I bambini con disturbo d’ansia da separazione si sentono costantemente preoccupati o spaventati dalla separazione. I sintomi più comuni sono:

    Paura che accada qualcosa di terribile a una persona cara

    La paura più comune che prova un bambino con disturbo d’ansia da separazione è quella che capiti qualcosa di molto brutto alla persona cui tengono di più: malattie, ferimenti, morte.

    Separazione totale 

    Sono spesso preoccupati che un evento imprevisto porti alla separazione permanente, ad esempio temono che, una volta separati dal genitore, accadrà qualcosa che farà in modo che l’allontanamento permanga, anche in modo definitivo. Possono anche preoccuparsi di essere rapiti o di perdersi.

    No alla scuola

    Un bambino con disturbo d’ansia da separazione può avere un’irragionevole paura della scuola e farebbe qualsiasi cosa per restare a casa.

    No al sonno

    Il disturbo d’ansia da separazione può rendere i bambini insonni, a causa della paura di essere soli o a causa di fare degli incubi che vedono al centro dei loro contenuti la separazione.

    Malattia  

    Vari sintomi come mal di stomaco, difficoltà digestive o mal di testa. Al momento della separazione, ma anche prima se sanno già che presto avverrà, questi soggetti dicono spesso di stare male.  c

    Aggrapparsi

    Il bambino spesso diventa quasi l’ombra della madre e la segue ovunque, o si aggrappa fisicamente alla gamba o al braccio della mamma se sa che sta per uscire. 

    Le Cause del Disturbo

    Il disturbo d’ansia da separazione si verifica perché un bambino si sente in qualche modo insicuro. Pensa bene a tutto ciò che potrebbe avere disturbato il mondo di tuo figlio, a ciò che può averlo fatto sentire minacciato o che può avere sconvolto la sua normale routine.

    Se si riesce ad individuare la causa principale, o le varie cause, ci si troverà più vicini ad aiutarlo nelle sue difficoltà.

    Le cause più frequenti del disturbo d’ansia da separazione nei bambini includono:

    Troppa protezione

    In alcuni casi, il disturbo d’ansia da separazione può essere la manifestazione dello stress e dell’ansia del genitore stesso; ecco perché figli e genitori spesso alimentano le reciproche ansie senza saperlo.  

    Stress

    Situazioni stressanti come il cambio di scuola, il divorzio o la perdita di una persona cara, incluso un animale domestico, possono innescare problemi di ansia da separazione.

    Traslochi 

    I cambiamenti nell’ambiente, come il trasloco in una nuova casa, fargli cambiare scuola o l’asilo nido, possono scatenare il disturbo.

    Attaccamento insicuro

    Il legame di attaccamento è la connessione emotiva che si forma tra un bambino e la sua principale figura di riferimento. 

    Di questo argomento si è occupato lo psicologo americano John Bowlby, seguito da Margareth Mead che, tra l’altro, ha ideato la Adult Attachment Interview, unamodalità di misura dell’attaccamento adulto. 

    Mentre un legame di attaccamento sicuro fa sì che il bambino si senta al sicuro nonostante le separazioni dalla madre, capito e calmo abbastanza da consentirgli uno sviluppo sano, un legame di attaccamento insicuro può portarlo a sviluppare varie problematiche, tra cui l’ansia da separazione.

    Come aiutare un bambino con il DAS

    A nessuno di noi piace vedere i propri figli in difficoltà, quindi può sembrare molto più facile evitargli fonti di stress e cercare di assecondarlo, restando con lui il più possibile. Purtroppo questo comportamento è invece nocivo per il bambino, perché non farà altro che rinforzare la sua ansia, e a lungo termine. 

    Piuttosto che cercare di evitare la separazione ogni volta che è possibile, si possono adottare delle strategie per aiutarlo a combattere il disturbo facendolo sentire più al sicuro. 

    Sicuramente dare al piccolo un ambiente casalingo rassicurante e divertente, colorato, lo farà stare subito meglio. Consideriamo anche che, se gli sforzi non risolvono completamente il problema, l’ empatia del genitore può solo migliorare le cose.

    Informati sul disturbo d’ansia da separazione. Infatti se ci informiamo siamo più preparati e pronti per capire come e perché il bambino sperimenta questo disturbo, e sarà anche molto più immediato riuscire ad aiutarlo ogni volta che dovrà affrontare le sue paure. 

    Ascolta e rispetta i sentimenti di tuo figlio. Per un bambino che si potrebbe già sentire isolato a causa del proprio disturbo, l’esperienza di essere ascoltato può avere un potente effetto curativo.

    Parla del problema

    Per i bambini è molto più utile parlare dei propri sentimenti: non traggono beneficio dal “non pensarci” e dall’evitare. Il genitore quindi farà bene ad essere comprensivo ed empatico, ma sarà molto utile ricordare al figlio con dolcezza che, nonostante le difficoltà, è sopravvissuto all’ultima separazione.

    Mantieni la calma 

    Se tuo figlio vede che tu sei calmo e che puoi mantenerti tale nonostante i suoi pianti e le proteste, anche lui sarà portato a ridimensionare il problema e ad imitarti. 

    Incoraggialo a fare attività 

    Incoraggia tuo figlio a partecipare ad attività sociali e fisiche sane. Sono ottimi modi per alleviare l’ansia e aiutare tuo figlio a sviluppare amicizie.

    Lodalo 

    Usa il più piccolo dei risultati – andare a letto senza problemi, un buon rapporto da scuola – come motivo per dare a tuo figlio un rinforzo positivo.

    Imposta uno schema giornaliero 

    Le routine danno senso di sicurezza ai bambini e li aiutano a ridurre la loro naturale paura  verso ciò che non conoscono. Ecco perché è importante pranzare e cenare sempre alla stessa ora, così come rispettare sempre l’ora di coricarsi. 

    Se in famiglia sta per cambiare qualcosa, sarà assolutamente necessario parlarne prima con il bambino per prepararlo psicologicamente: i cambiamenti sono molto più gestibili se sono previsti.

    Fissa dei limiti

    Fai sapere a tuo figlio che, anche se capisci ciò che prova, esistono delle regole in famiglia che vanno rispettate. Come le routine, l’impostazione e l’applicazione dei limiti aiutano il bambino a essere consapevole di cosa si può aspettare.

    Offri delle scelte

    Se a tuo figlio viene fornita la possibilità di controllare la sua interazione con te, potrebbe sentirsi più sicuro e a suo agio. 

    Ad esempio, gli si può fare scegliere il punto dove preferisce essere lasciato prima di entrare a scuola o quale giocattolo preferisce portare con sé se va alla scuola materna. 

    Usa il senso dell’umorismo

    Oltre a migliorare la tua visione delle cose, ridere ti aiuta a combattere lo stress.

    Se gli sforzi adottati per cercare di diminuire i sintomi ansiosi non bastano, potrebbe essere il caso di consultare uno Psicologo

    Non si può infatti escludere che questi disturbi siano la conseguenza di un trauma che il piccolo ha subito.

    Dott.ssa Alessia Pullano
    Psicologa e Psicoterapeuta

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      Claustrofobia

      Quante volte avete sentito parlare di  claustrofobia? Tante, vero?

      Questa sembra essere, infatti, una fobia molto diffusa, poiché arriva a colpire molte persone, fin dall’età adolescenziale.

      Ascensore, metropolitana: tutto questo a noi comuni mortali non suscita nulla, eppure un ascensore può poter diventare un vero e proprio incubo per un individuo che soffre di claustrofobia.

      Perché? Cosa significa quanto detto? Quali sintomi possono essere sperimentati? A causa di cosa?

      Insomma le domande che possiamo porci sono tante: qui di seguito infatti cercheremo di capirne di più, cercando innanzitutto di rispondere alla domanda fondamentale: cos’è la claustrofobia.

      Claustrofobia: cos’è e che caratteristiche presenta?

      Sentiamo spesso parlare di claustrofobia, ma ci siamo mai chiesti cosa sia davvero?

      Iniziamo con il dire che è una paura eccessiva degli spazi chiusi o comunque ristretti: basta fare riferimento all’etimologia del termine per rendersene conto.

       La parola claustrofobia deriva dal latino claustrum, che significa luogo chiuso e  dal greco phobos che sta proprio per paura, fobia.

      Secondo  alcuni dati, la maggior parte di coloro che soffrono di questa fobia non sono molto gravi e sono pochi coloro che decidono di affidarsi ad un professionista.

      Ma che caratteristiche presenta questo disturbo?

      Volendo riferirci alla definizione data dal Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali (DSM), la claustrofobia è considerata una fobia specifica che presenta determinate caratteristiche, o meglio, determinati criteri:

      • Una paura eccessiva, persistente, a causa di una situazione specifica  
      • La fobia può assumere i tratti di un attacco di panico improvviso, se si è in presenza della situazione fobica
      • La paura è immotivata e sproporzionata rispetto alla minaccia reale
      • Messa in atto di strategie di evitamento per evitare la situazione temuta 
      • La reazione di ansia e paura e il fatto stesso di mettere in atto queste strategie interferiscono con la propria vita relazionale e non.

      Per poter parlare di claustrofobia, secondo il DSM questa deve poter persisteste per sei mesi o più.

      Ma cosa prova chi soffre di questa fobia?

      Chi soffre di questo disturbo prova angoscia e disagio non appena si trova in stanze di piccole dimensioni o senza finestre.

      O ancora in quelle situazioni che sembrano creare oppressione e in cui ci si sente quasi in trappola.

      Per questo il disturbo è associato all’evitamento di quelle situazioni o oggetti che portano ad avere anche solo la sensazione che possa venire a mancare la libertà di movimento.

      Di quali situazioni parliamo?

      Stimoli fobici: quali sintomi e quali strategie di evitamento

      Sicuramente di quelle situazioni che sono innocue o che apparentemente lo sembrano.

      Chi soffre di claustrofobia può arrivare a temere  per esempio gli ascensori, le giostre dei parchi di divertimenti, i sotterranei, le metropolitane, i bagni pubblici o ancora le porte girevoli.

      Anche l’esecuzione di esami medici o il ricorso a strumenti diagnostici, come nel caso della risonanza magnetica, può poter rappresentare un pericolo per chi soffre di claustrofobia.

      Insomma tutto ciò che limita la possibilità di movimento viene considerata una minaccia: anche il semplice indossare abiti o maglioni a collo stretto può poter rappresentare uno stimolo fobico.

      A questo punto vi starete chiedendo quali siano i sintomi sperimentati.

      Tra questi possiamo ritrovare un’ansia o un disagio di lieve entità, ma anche una forte angoscia che può poter diventare un vero e proprio attacco di panico, nei casi estremi.

      La paura caratteristica di questa fobia? Quella di soffocare.

      Il tutto non può che portare alla manifestazione di sintomi fisiologici, tra cui brividi, battiti accelerati, sensazione di nausea, senso di svenimento, formicolio, mal di testa, difficoltà a respirare, bocca secca, tremore, pianto.

      Nei casi più gravi la claustrofobia può portare ad avere paura di morire.

      Proprio perché possono verificarsi questi sintomi, il soggetto in questione cercherà di  non esporsi agli stimoli fobici visti poc’anzi, adottando quelle che sono definite le strategie di evitamento.

      Tra queste ritroviamo:

      • L’organizzare la propria vita, tenendo conto di precise abitudini, con il solo obiettivo di proteggersi dal pericolo: scegliere di andare in posta nelle ore meno affollate potrebbe essere un esempio di strategia di evitamento
      • Il farsi accompagnare da amici o parenti per sentirsi più sicuri e al riparo dalla propria paura
      • L’andare alla ricerca di rassicurazioni, parlando del proprio problema, come se questo servisse ad allontanarlo

      Perché si soffre di claustrofobia e quali conseguenze si possono avere?

      Bene, dopo aver capito cosa sia e cosa comporti questo disturbo, è normale che qualcuno arrivi a chiedersi: perché si soffre di claustrofobia?

      Perché alcuni arrivano a temere delle situazioni che normalmente tutti noi ci ritroviamo ad affrontare?

      Cosa si nasconde dietro questa paura?

      Iniziamo con il dire che le cause di questo disturbo non sono ancora del tutto note e chiare.

      Spesso, come si evidenzia da diversi studi, questa fobia è la conseguenza di un’esperienza traumatica vissuta durante il periodo infantile, che può aver in un certo senso bloccato il nostro naturale istinto di esplorazione, fino a generare un vero e proprio blocco.

      Questa reazione a sua volta può poter essere influenzata da una bassa autostima e da quell’ansia verso ciò che sembra limitare la  propria libertà, un’ansia questa che può poter essere associata a luoghi chiusi, ma non solo.

      Da un punto di vista psicoanalitico, la claustrofobia sembra essere infatti connessa a conflitti intrapersonali e interpersonali: cosa significa?

      Che la ricerca di aria e di libertà può essere anche collegata al bisogno di evitare quelle situazioni che portano ad una chiusura, non solo fisica.

      Parliamo di una chiusura a livello di legami e rapporti sociali.

      Questa fobia può essere inoltre collegata al bisogno di liberarsi dalle proprie insicurezze e dalla propria sensazione di inadeguatezza.

      Se vogliamo dare una lettura biologica della questione, non possiamo non riferirci ad alcuni studi che affermano come alla base di tale fobia ci sia un malfunzionamento dell’amigdala, che altro non è che una  struttura che appartiene al sistema limbico e che influenza la nostra percezione del pericolo.

      In alcuni soggetti si è potuto constatare come tale disturbo sia correlato anche alla presenza di altri disturbi d’ansia e ad altre fobie, come quella per il buio, per le altezze.

      Ma cosa può portare una fobia di questo tipo? Sicuramente può limitare la vita di chi ne soffre.

      Nel tempo la paura degli spazi ristretti può portare ad evitare gran parte delle proprie attività quotidiane, quelle che appunto potrebbero far sentire il soggetto fobico come accerchiato. 

      Il claustrofobico infatti può arrivare ad evitare di andare alle feste o a quegli eventi particolarmente affollati.

      Anche  i viaggi possono rappresentare un vero e proprio pericolo: pensate ad un claustrofobico che viaggia in aereo, costretto a stare in un spazio piccolo.

      Non lo farà mai, o almeno questo sarà sicuramente il suo pensiero a tal proposito.

      Un pensiero, che come vedremo, può essere, però, modificato.

      Come superare questa fobia?

      Insomma, come abbiamo potuto constatare, questa fobia può davvero essere invalidante : il soggetto può arrivare non solo a sperimentare i sintomi tipici di un attacco di panico, ma può anche arrivare ad evitare le situazioni più banali.

      Questo non può che portare ad avere una vita insoddisfacente, proprio perchè ogni cosa sembra rappresentare un pericolo o una minaccia. 

      Per questo ora è arrivato il momento di porci una domanda: come può essere affrontata una paura di questo tipo?

      Come superarla?

      Consigli e suggerimenti per gestire la propria paura

      Sicuramente per poter stare bene e superare le proprie crisi claustrofobiche è necessario affrontare le situazioni che sono alla base della propria paura.

      Per poter tener sotto controllo la claustrofobia, dunque, possono essere messi in atto dei piccoli accorgimenti:

      • Evitate di parlare del problema: come abbiamo detto prima, spesso si  tende a parlare alle persone che ci circondano della propria paura. 

      Il primo suggerimento a tal proposito  è proprio questo: evitate di parlare della vostra paura, poiché più si parla di un problema, più questo diventa reale. 

      Seppur inizialmente potrà sembrarvi di provare una sensazione di sollievo, in realtà successivamente vi sentirete maggiormente frustrati.

      • Uscite dal circolo vizioso delle vostre abitudini: cercate di ridimensionare il tutto, a partire dalle vostre abitudini e dagli schemi mentali che vi siete creati per evitare le situazioni che più temete. 

      A tal proposito, provate per esempio a prendere carta e penna e provate a riportare tutte quelle situazioni che evitate o che eseguite, solo perché avete la sensazione che ciò arrivi a proteggervi. 

      Fatto? Bene provate a ordinarle, a partire da quelle che vi provocano una minore ansia fino a quelle che vi suscitano più ansia. La lista è pronta?

      Partite dalla situazione meno ansiogena e provate a modificare qualche azione che fate per evitarla: cosa succede?

      Questo modo di fare potrebbe essere davvero terapeutico per voi, perché potrebbe aiutarvi a capire che spesso le paure che abbiamo sono esagerate.

      Consigli e suggerimenti: cosa fare se sono nel panico?

      Siete in ascensore e vi sentite il cuore in gola? Siete intenti a fare la spesa  e vi manca l’aria? Cosa fare in questi casi?

      • Cercate di respirare contando fino a 5, mentre inspirate ed espirate, per un totale di dieci secondi. In questo modo riuscirete a ridurre le vostre sensazioni di ansia. 
      • Focalizzate la vostra attenzione sugli aspetti positivi della vostra vita
      • Se siete soli, provate a canticchiare una canzoncina o meglio ancora ascoltatene una, focalizzando la vostra attenzione sulla musica
      • Provate a chiudere gli occhi e immaginate una situazione in grado di infondervi calma.

      Richiesta di aiuto: quando è opportuno?

      Se la vostra fobia è diventata così invalidante fino al punto che non riuscite a stare meglio nemmeno dopo aver messo in atto i piccoli suggerimenti visti fin’ora, forse è il caso di chiedere aiuto ad un professionista.

      In questo modo potete provare ad affrontare la vostra paura, grazie al suo supporto, proprio come farebbe una madre con il proprio bambino, con amore e pazienza.

      In questo modo potrete non solo cercare di razionalizzare la vostra paura, ma anche provare a capire cosa nasconde realmente.

      Questo vi aiuterà a stare bene con voi stessi: riuscirete finalmente a concentrarvi sulla possibilità di reagire, ma soprattutto riuscirete ad affrontare quelle che sono le vostre convinzioni.

      Affronterete semplicemente voi stessi.

      Riflessioni conclusive: cosa abbiamo detto sin’ora

      Come abbiamo visto fin’ora la claustrofobia è una delle fobie più diffuse e alla base nasconde la paura dei luoghi chiusi, ristretti e di tutti quei posti in cui il soggetto sente di essere privo della propria libertà di movimento.

      Come abbiamo visto, il claustrofobico per evitare situazioni di questo tipo, può arrivare a mettere in atto delle strategie di evitamento che a lungo andare, però,  non fanno altro che aumentare il  problema.

      Un problema questo che sembra avere alla base diverse cause.

      I sintomi sperimentati da chi soffre di claustrofobia non sono sicuramente facili da gestire, per questo abbiamo cercato di evidenziare cosa può essere fatto per stare meglio,soprattutto in quelle situazioni limite, in cui ci si sente in pericolo.

      Ovviamente quando la claustrofobia diventa invalidante, occorre ammetterlo a se stessi, accettarlo e cercare aiuto ad un professionista, al fine di riuscire a comprendere le cause delle proprie paure e la soluzione al problema.

      Un problema per essere risolto, d’altronde, non va evitato, ma va affrontato.

      Il claustrofobico ha paura del chiuso, ma non sa che spesso è propria “una mente chiusa” a creare i problemi più grandi.

      Apriamo dunque la nostra mente e cerchiamo aiuto a chi può darcelo.

      Spesso è di questo che abbiamo bisogno, di essere aiutati a guardare oltre ciò che noi stessi vediamo o crediamo di vedere.

      Non è forse questo il vero senso della libertà?

       La nostra vera prigione non è sicuramente un ascensore, ma solo la nostra mente e i pensieri che partorisce.

      Apriamola dunque e il prossimo ascensore sarà nostro!

      Dott.ssa Alessia Pullano
      Psicologa e Psicoterapeuta

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        Implicazioni Psicologiche nel processo Adottivo

        In questo articolo vedremo le diverse implicazioni psicologiche nel processo adottivo.

        Secondo il vocabolario l’adozione è un istituto giuridico che permette a una coppia di adottare uno o più minori rimasti senza genitori, che non sono stati riconosciuti dai genitori naturali o che sono ritenuti non educabili. In seguito all’adozione diventano a tutti gli effetti rispettivamente genitori e figli legittimi.

        Si può adottare sia un bambino della propria Nazione (si parla in questo caso di adozione nazionale), sia un minore che vive in altre Nazioni (adozione internazionale).

        L’adozione, come vedremo più avanti nell’articolo, è in entrambi i casi un percorso lungo e complesso, composto da vari passaggi, con lo scopo di garantire per il minore la possibilità di vivere in una famiglia adeguata alle sue caratteristiche e bisogni.

        L’adozione in Italia

        Secondo i dati dell’Anfaa (Associazione Nazionale Famiglie Adottive e Affidatarie) attualmente in Italia ci sono più di 1.000 coppie che hanno scelto l’adozione Nazionale e, secondo le statistiche del CAI (Commissione Adozioni Internazionali), si hanno più di 1.100 adozioni Internazionali.

        Tuttavia, rispetto al passato, negli ultimi anni si registra una diminuzione delle richieste, da una parte perché migliorano le tecniche di concepimento assistito che permettono di poter avere figli propri, dall’altra probabilmente a causa della lunghezza e complessità del processo adottivo e delle lunghe trafile burocratiche, che scoraggiano molte coppie dall’affrontare un percorso di questo tipo. 

        Breve storia dell’adozione in Italia

        L’adozione ha radici antiche. Gli studiosi hanno scoperto che già nel II sec. A. C. e nell’antica Roma erano presenti leggi che normavano diritti e doveri di adottandi e adottati.

        Inizialmente l’adozione era però più simile a una forma di tutela, per cui persone caritatevoli potevano prendersi cura di bambini orfani o abbandonati ritenuti meritevoli.

        E’ nel 1967 che si assiste a un cambiamento, che rende il concetto di adozione più simile a quello che abbiamo noi oggi.

        L’adozione, infatti, non è più riservata solo a bambini meritevoli, ma è un’opzione per tutti coloro che si trovano in uno stato di abbandono, in quanto aventi comunque diritto ad avere una famiglia stabile.

        Il 29 maggio 1993 viene redatta la Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale (Convenzione dell’Aja), che evidenzia i diritti fondamentali dei minori, compreso quello di avere una famiglia.

        Oggi, in Italia ci si rifà alla legge del 4 maggio 1983, n. 184, che all’art. 27 dispone che l’adozione fa assumere, al minore adottato lo stato di figlio nato nel matrimonio degli adottanti, dei quali porta anche il cognome.

        Il percorso di adozione

        Adottare un bambino è un percorso lungo e molto delicato, durante il quale si tiene conto di vari fattori, legati sia alla coppia adottante, sia al minore. È una procedura composta da vari passaggi. 

        Esistono innanzitutto alcuni requisiti che permettono a una coppia di poter fare domanda per diventare genitori adottivi:

        • la coppia deve essere sposata da almeno tre anni, oppure aver convissuto continuativamente per almeno tre anni prima del matrimonio,
        • il più giovane della coppia deve avere una differenza di età non inferiore ai 18 e non superiore ai 45 anni per un genitore e 55 anni per l’altro rispetto al figlio adottivo.

        Se si hanno i giusti requisiti, si sostengono diversi colloqui con psicologi e assistenti sociali per verificare l’effettiva idoneità psico-fisica della coppia.

        Vengono valutate in questo modo le competenze genitoriali, ma anche lo stile di vita (per verificare l’effettiva possibilità di mantenere un figlio oppure l’idoneità della casa e del contesto nel quale la coppia vive), ma anche il clima emotivo della coppia, le aspettative legate all’adozione e le motivazioni che l’hanno portata a scegliere di intraprendere un percorso adottivo.

        Le coppie che si avvicinano all’adozione sono spesso sterili e di solito approdano all’adozione dopo un percorso lungo e complicato, fatto di vari interventi medici (cure ormonali, tentativi di inseminazione artificiale…).

        Sono quindi coppie già provate da un percorso a ostacoli che si apprestano ad affrontare colloqui, spesso molto personali, con assistenti sociali e psicologi, pratiche burocratiche, attese, a volte viaggi all’estero.

        Questo può essere causa di forte stress ed è fondamentale che la coppia possa essere sostenuta da figure professionali idonee.

        Le implicazioni psicologiche nel processo adottivo per la coppia

        Attorno all’adozione ruotano molti timori, ma anche aspettative e speranze.

        Il timore, a livello inconscio, è che la genitorialità adottiva possa essere inferiore a quella naturale, che vi siano delle differenze incolmabili.

        In realtà, la nostra mente vive come famiglia chi si è preso cura di noi, è quindi molto meno legata a un fattore biologico di quanto ci si possa aspettare.

        Il concetto di famiglia si basa infatti sul legame di affetto e relazionale che si instaura tra i membri della famiglia, naturale o adottiva che sia.

        Un’altra paura spesso riportata dalle coppie adottive è che il figlio possa non affezionarsi, restando legato alla famiglia d’origine e alla vita precedente all’adozione.

        I nuovi genitori si sentono a volte insicuri e necessitano di conferme.

        Un altro aspetto fondamentale sono le speranze e le aspettative che il figlio adottato sia capace di colmare tutte le “mancanze” della coppia e che rispecchi l’immagine di un figlio ideale.

        Ricordiamo che i figli (questo vale ovviamente anche per i naturali) hanno una propria personalità, desideri e aspirazioni proprie e, nel caso degli adottivi, spesso anche un passato più o meno pesante che portano con sé, che i genitori non possono conoscere completamente e con il quale bisogna fare i conti. 

        Le implicazioni psicologiche nel processo adottivo per il minore

        I bambini che vengono adottati spesso hanno alle spalle un passato fatto di abbandono, violenza, degrado.

        Secondo alcune ricerche l’adozione stessa potrebbe costituire un fattore di rischio per la salute psicologica del minore.

        In generale, infatti, è stata rilevata a livello clinico e di ricerca una maggiore propensione da parte di persone che sono state adottate a sviluppare problematiche psicologiche, emotive e relazionali, rispetto a persone non adottate.

        Rispetto a questo fenomeno, le dinamiche relazionali tra il minore e i genitori adottivi sembrano avere un ruolo centrale. 

        Nel momento dell’adozione, i minori affrontano un drastico cambiamento.

        Passano dal vivere in orfanotrofio o in casa famiglia, quindi in un ambiente con tanti altri bambini e più figure di riferimento adulte a una famiglia vera e propria, spesso composta dalla sola coppia genitoriale.

        Nel giro di poco tempo cambiano stile di vita. Alcuni addirittura si ritrovano a vivere in un nuovo Paese, con lingua e cultura diverse, da conoscere.

        È quindi molto importante costruire con loro una buona relazione, fatta di fiducia, protezione, attenzione, ascolto, confronto, amore. 

        Consigli per vivere più serenamente il percorso adottivo

        Come fare per fare in modo che l’esperienza dell’adozione sia il più possibile serena sia per la coppia, sia per il minore?

        Di seguito forniamo qualche consiglio utile.

        Per le coppie:

        • è fondamentale che entrambi i coniugi siano pienamente d’accordo rispetto alla decisione di adottare un bambino,
        • è importante che i coniugi parlino e si confrontino rispetto ai propri vissuti e alle proprie paure, legate per esempio ai vari passaggi per l’adozione o rispetto al futuro,
        • può essere di grande aiuto per la coppia partecipare ai gruppi di incontro per coppie adottanti. Confrontarsi con altre coppie che stanno vivendo o che hanno vissuto in passato la stessa esperienza si rivela essere davvero molto utile per sentirsi compresi e rinforzati nella propria decisione. In internet si possono trovare informazioni sulle Associazioni che si occupano di adozione nel proprio territorio di appartenenza,
        • fare attenzione a non concentrare tutte le energie solo sul pensiero dell’adozione, ma continuare a dare la giusta importanza anche al partner e alla propria vita privata.  In alcuni casi possono passare anche anni prima di riuscire a concretizzare il sogno di diventare genitori adottivi, per questo è giusto continuare a portare avanti anche il resto della propria vita. È bene quindi continuare a seguire i propri hobby e interessi, passare del tempo con il proprio partner e, se si hanno già dei figli, passare del tempo con loro,
        • se sono presenti altri bambini o adolescenti in famiglia, prepararli in tempo all’arrivo del nuovo fratellino o sorellina. Può essere utile spiegare in modo semplice cos’è l’adozione e come funziona, coinvolgendoli nell’accoglienza. È importante ricordare loro che mamma e papà continueranno a volergli bene anche dopo che sarà arrivato il nuovo membro della famiglia.

        Rispetto al bimbo adottato:

        • far sentire il bambino accolto, sia da un punto di vista materiale (fornirgli tempi e spazi adeguati), sia da un punto di vista emotivo, ascoltando pensieri, paure, rispondendo alle domande che potrebbe fare ed empatizzando con lui,
        • permettere al bambino di raccontarsi rispettando i suoi tempi,
        • permettere al bambino di fare domande riguardo al suo passato e alla sua famiglia d’origine e cercare di fornire risposte il più possibile esaurienti e rassicuranti,
        • è bene, da genitori, prestare molta attenzione al comportamento del bambino, soprattutto nei primi periodi dopo l’adozione. Talvolta infatti i bambini adottati mostrano alcuni segnali di disagio, per esempio possono andare male a scuola, avere difficoltà a restare attenti e concentrati durante le lezioni, alcuni fanno fatica ad allontanarsi dalla mamma o da altre figure di riferimento familiari, oppure possono fare incubi notturni.
          In tali casi potrebbe essere utile rivolgersi a un terapeuta infantile per aiutare il bambino a elaborare i cambiamenti o eventuali vissuti traumatici del passato,
        • l’adolescenza potrebbe essere un periodo critico e particolarmente complesso dal punto di vista psicologico. Il ragazzo potrebbe per esempio proiettare sulla famiglia adottiva vissuti e problematiche ancora non risolte relative al proprio passato. In qualità di genitori è bene mostrarsi sempre presenti, disponibili all’ascolto e pronti a rispondere a tutte le domande. 
        • Dott.ssa Alessia Pullano
          Psicologa e Psicoterapeuta

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          Nomofobia: come Superare la Dipendenza dal Cellulare

          In questo articolo analizzeremo la nomofobia, ovvero la dipendenza dal cellulare.

          Oggi i cellulari sono a tutti gli effetti una parte integrante della nostra vita.

          Nel tempo si sono evoluti e attualmente non servono più solo per telefonare, ma assolvono a molte più funzioni, anche a quelle che prima erano proprie di altri oggetti, come il navigatore, la torcia, la calcolatrice, la sveglia, la macchina fotografica e tanti altri ancora.

          Ma è soprattutto la possibilità di essere connessi a Internet che ha fatto sì che questi dispositivi continuino ad avere un così grande successo. 

          Da uno studio condotto dall’agenzia americana Dscout nel 2018 su un campione di 94 persone, emerge che tocchiamo il nostro smartphone in media circa 2617 volte al giorno, pari a 145 minuti del nostro tempo quotidiano.

          Osservando i partecipanti alla ricerca, gli studiosi hanno evidenziato in particolare che gli utenti hanno utilizzato il cellulare prevalentemente per operare azioni meccaniche poco utili, come controllare se erano arrivati messaggi o per vedere quanti like avevano raggiunto i post di Facebook o Instagram.

          Questo significa che per la maggior parte del tempo l’uso del cellulare è legato a comportamenti automatici, poco consapevoli.

          Vedremo più avanti in questo articolo come l’uso eccessivo degli smartphone possa generare nel tempo una vera e propria dipendenza, che può portare conseguenze negative a livello sia fisico sia psicologico.

          L’uso della tecnologia e i bambini

          Chi è nato prima degli anni 2000 ha vissuto in diretta la nascita e la diffusione dei primi cellulari, dei computer così come li conosciamo oggi e di Internet.

          Ci si è abituati gradualmente alle novità tecnologiche che si sono susseguite nel corso degli anni. Per alcune persone è stato piuttosto semplice, altre invece ancora oggi presentano poca dimestichezza con la tecnologia, che resta sempre qualcosa di complicato o ritenuto per lo più non necessario. 

          Per chi è nato negli ultimi venti anni, invece, la tecnologia c’è sempre stata ed è quindi qualcosa che fa parte della quotidianità, come lo possono essere i libri, le macchine, la televisione.

          Si stima che i bambini tra i due e i quattro anni trascorrano 2 ore al giorno davanti ai dispositivi digitali e che bambini di cinque anni ne passino almeno tre. Dati che tendono ad aumentare in proporzione all’età.

          I cosiddetti nativi digitali nascono, appunto, in un mondo nel quale la tecnologia è presente in quasi tutti gli ambiti di vita, dalla scuola al gioco, alle relazioni con i coetanei.

          Anche i primi giocattoli spesso sono telefonini o computer di plastica.

          Per questo imparano molto facilmente sin da piccoli a utilizzare smartphone e computer e si adattano molto più velocemente ai cambiamenti che avvengono nel settore informatico e tecnologico, rispetto a quanto fanno invece gli adulti.

          Un cervello in evoluzione

          Ma la differenza non è solo a livello comportamentale.

          Alcuni studi hanno infatti mostrato che il cervello dei nativi digitali possiede caratteristiche nuove rispetto a quello delle generazioni precedenti.

          Siamo di fronte a una vera e propria evoluzione dell’uomo, caratterizzata da una mente più rapida e da una maggiore capacità di multitasking.

          Si è potuto notare che l’abilità di utilizzare più dispositivi in contemporanea è maggiore rispetto al passato (si possono per esempio vedere bambini o ragazzi che mentre studiano ascoltano la musica, fanno una ricerca su Google e leggono i messaggi sul cellulare senza avere particolari difficoltà).

          Il cervello dei giovani di oggi è più percettivo e meno simbolico di quello dei genitori e dei nonni.
          Le aree cerebrali della vista e del tatto risultano essere infatti molto più sviluppate proprio perché più stimolate dall’uso di cellulari, pc e tablet.

          Gli adolescenti e gli smartphone

          Ma è tra gli adolescenti che si nota in modo particolare questa tendenza.

          Per loro il cellulare non è solo un mezzo di comunicazione, ma è a tutti gli effetti uno strumento di socializzazione, in quanto permette ai ragazzi di restare costantemente in contatto con gli amici e i compagni di scuola, ma non solo.

          Molte applicazioni permettono anche di conoscere persone nuove.

          Quello che un tempo si viveva nelle piazze di città e paesi, oggi avviene per lo più online. 

          Ma non solo socializzazione. Con i telefonini oggi i ragazzi fanno tante cose: acquistano biglietti per i concerti, titoli di viaggio, leggono, fanno foto… 

          Per questo utilizzano moltissimo i vari dispositivi elettronici, a volte anche quando sono in compagnia, tanto da sembrare aver quasi perso la capacità di interagire tra loro dal vivo.

          Secondo alcune ricerche i ragazzi potenzialmente più a rischio di sviluppare una dipendenza da cellulare, sono quelli che presentano problemi legati all’autostima e difficoltà nelle relazioni sociali.

          I più timidi e insicuri vedono infatti nel monitor del telefonino una protezione che li aiuta a sentirsi più tranquilli nel confronto con adulti e coetanei.

          Tuttavia, questa soluzione rischia di andare a discapito del ragazzo, poiché l’uso dello smartphone aumenta in realtà il distacco con le relazioni reali e di conseguenza anche la solitudine e l’isolamento sociale. 

          Passare gran parte della giornata con il cellulare in mano a chattare, postare foto o controllare le varie applicazioni, può in definitiva sfociare in una vera e propria dipendenza, che possiede caratteristiche ben precise.

          Nomofobia: come riconoscere la dipendenza da cellulare

          Sono soprattutto i giovani tra i 18 e i 25 anni, ma anche molti adulti, a soffrire di nomofobia, (termine composto dal suffisso –fobia e da un prefisso inglese, abbreviazione di no-mobile), detta anche “sindrome da disconnessione”.

          Tale termine si riferisce alla paura di rimanere disconnessi dal contatto di rete di telefonia mobile a causa della mancanza della rete o dell’esaurimento della batteria e di essere di conseguenza impossibilitati a utilizzare il proprio cellulare.

          L’essere sempre connessi e in contatto con amici e parenti o con i colleghi di lavoro, dà la sensazione di avere tutto sotto controllo e l’essere anche solo momentaneamente disconnessi fa vacillare questa sicurezza.

          Questa paura può portare a una vera e propria dipendenza, caratterizzata da vissuti di ansia e depressione che possono sfociare anche in comportamenti di irrequietezza e aggressività nel momento in cui si ha anche solo il timore di non poter essere sempre connessi.

          Il malessere si può trasformare, nei casi più gravi, in veri e propri attacchi di panico, con sintomi che vanno da tremori, a vertigini, sensazione di fame d’aria (mancanza del respiro), ma anche tachicardia e uno stato generale di tensione muscolare. 

          Sintomi che regrediscono solo nel momento in cui si ha nuovamente la possibilità di utilizzare il telefono.

          Chi soffre di nomofobia ha un rapporto quasi ossessivo con il cellulare e mette in atto una serie di comportamenti atti a evitare di restare senza questo dispositivo.
          Vediamone alcuni:

          • uso costante del telefono cellulare nel corso di tutta la giornata,
          • bisogno di avere sempre con sé il cavo per la ricarica della batteria oppure uno o più caricabatterie da borsetta, in modo da non rischiare di restare senza,
          • attenzione ad avere sempre il credito telefonico,
          • esperire vissuti di ansia, depressione, nervosismo al solo pensiero di non poter utilizzare il telefono (per esempio durante le riunioni di lavoro o durante le lezioni scolastiche),
          • bisogno di controllare costantemente le notifiche di messaggi e applicazioni,
          • necessità di tenere il cellulare acceso 24 ore su 24,
          • andare a dormire con il cellulare sul comodino,
          • utilizzo dello smartphone anche in posti o situazioni poco consone.

          Come si può facilmente immaginare, tutto questo può, con il passare del tempo, portare a varie conseguenze.

          I rischi della dipendenza da cellulare

          L’uso costante e ossessivo del cellulare, può portare, alla lunga, a una serie di conseguenze psicologiche e fisiche negative per la nostra salute.

          Questi rischi non riguardano solo i più giovani, ma anche gli adulti.

          Eccone elencati i principali:

          • pericolo di essere esposti a contenuti violenti o a sfondo sessuale o comunque inadatti per i minori, in seguito per esempio a indagini sui motori di ricerca,
          • alterazione del ritmo sonno-veglia: i cellulari, così come gli altri dispositivi elettronici, emettono una luce blu che altera la produzione di melatonina, causando così disturbi del sonno,
          • aumento delle difficoltà di attenzione e di concentrazione. La mente non riesce a restare centrata sul compito che sta svolgendo in un dato momento, che sia per esempio un esercizio di matematica o la preparazione di una riunione di lavoro, poiché resta impegnata su più attività in contemporanea,
          • utilizzare lo smartphone quando si è alla guida o mentre si sta attraversando la strada aumenta il rischio di incidenti stradali, 
          • presenza di sintomi fisici, quali mal di testa o mal di schiena. Quest’ultimo in particolare legato all’errata postura che si assume quando si utilizza il cellulare,
          • riduzione drastica delle relazioni sociali, soprattutto negli adolescenti che usano il cellulare come unica modalità di interazione con gli altri,
          • nei bambini e negli adolescenti in particolare, si possono rilevare un peggioramento del rendimento scolastico, una riduzione o mancanza di interessi, l’insorgenza di disturbi alimentari e/o una scarsa igiene personale.

          Come fare per non dipendere dal proprio smartphone: consigli ed esercizi

          Ma quindi quali strategie possono essere adottate per evitare di sviluppare una dipendenza da smartphone e imparare invece a gestire al meglio il proprio tempo?

          In generale, dobbiamo evitare che il cellulare, così come tutti i dispositivi elettronici e informatici, diventino fondamentali nella nostra vita, a discapito delle relazioni sociali e della “vita vera”.

          Di seguito alcuni consigli utili per evitare di incappare nell’uso eccessivo del telefono e prevenire così l’insorgere di una vera e propria dipendenza:

          • diventa più consapevole dei momenti in cui utilizzi il cellulare: non utilizzarlo quando sei a tavola, quando ti trovi in compagnia della tua famiglia o dei tuoi amici, prima di andare a dormire e quando studi,
          • controlla il tempo che passi con lo smartphone. Esistono Applicazioni che consentono di monitorare il tempo trascorso al telefono. I cellulari di ultima generazione hanno già questo programma incorporato e consentono anche di capire nello specifico il tempo giornaliero passato sui Social Network,
          • evita di controllare il tuo cellulare subito appena sveglio. Prenditi una mezz’oretta per te, per fare colazione con calma, magari leggendo il giornale o per fare una doccia rinvigorente,
          • durante la giornata ritagliati del tempo per fare una breve passeggiata, senza portare con te il cellulare naturalmente!
          • pratica sport o hobby che ti obblighino a tenere il cellulare lontano, così da passare qualche ora senza controllare le notifiche,
          • preferisci la lettura di libri cartacei agli e-book, per evitare di forzare ulteriormente la vista con il monitor,
          • pratica la digital mindfulness, un percorso di meditazione specifico per compensare gli effetti negativi dell’uso prolungato di smartphone e dispositivi elettronici oppure segui un corso di Yoga.

          Accanto a questi consigli più “soft”, ne esistono altri più drastici e forse anche un po’ più complicati da seguire, ma sicuramente molto efficaci. Un po’ come se fossero una sorta di “terapia d’urto”:

          • crea degli ostacoli all’uso del cellulare, per esempio prova a impostare delle password sia per lo smartphone, sia per le singole App. Le varie password funzioneranno da deterrente e rallenteranno l’accesso alle applicazioni,
          • puoi anche decidere di disinstallare alcune App, come quelle che utilizzi poco o che puoi usare anche da altri dispositivi, come per esempio Facebook oppure la posta elettronica, che puoi comunque continuare a controllare dal pc,
          • puoi anche decidere di tornare, almeno per un periodo, a utilizzare un cellulare di vecchia generazione, di quelli che consentono solo di telefonare e ricevere semplici messaggi di testo. Questo ti permetterà di bloccare immediatamente tutti quegli automatismi che ciclicamente ti fanno tornare a prendere in mano il telefono, 
          • datti un tempo (15 – 30 minuti al giorno, per esempio), per controllare tutte le notifiche delle App, da Facebook a Instagram e poi… goditi il resto della giornata! 

          Se, anche dopo aver seguito questi consigli ti dovesse risultare ancora difficile gestire il rapporto con il tuo cellulare, puoi sempre rivolgerti a un terapeuta della tua zona, che possa aiutarti a scoprire la vera origine della dipendenza aiutandoti a lavorare sul problema in modo più mirato ed efficace per te.

          Dott.ssa Alessia Pullano
          Psicologa e Psicoterapeuta

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            Smettere di Fumare: si può?

            Smettere di fumare è la cosa più facile del mondo. Lo so, perché l’ho fatto migliaia di volte”

            Mark Twain

            Smetterò di fumare: quante volte, miei cari fumatori avete detto questa frase, senza poi crederci troppo?

            Quanti ultimi pacchetti di sigarette ci sono nella vostra storia di fumatori?

            Sicuramente il vostro intento era proprio questo, ma per un motivo o per un altro non riuscite proprio a smettere di fumare.

            Sono tanti i fumatori che si chiedono  “ma si può  davvero smettere di fumare”?

            Prima di rispondere a questo interrogativo, è il caso di metterne il rilievo un altro, altrettanto fondamentale: perché fumiamo?

            Non ci resta che continuare a leggere per capire cosa succede al nostro corpo e alla nostra mente, quando fumiamo.

            Fumare: cosa ci succede davvero?

            Fumare: tutti noi conosciamo questo verbo.

            Basta dare uno sguardo al dizionario, per capire che fumare sta per “aspirare il fumo del tabacco”.

            La maggior parte di voi starà pensando che questa è una cosa risaputa, ma forse c’è una cosa che non tutti sanno: vi siete mai chiesti cosa  avviene quando accendiamo e fumiamo una sigaretta? 

            Chissà, magari, la maggior parte di voi conosce già la risposta a questa domanda:  ogni volta che facciamo un tiro alla nostra amata sigaretta, una sostanza che si chiama nicotina inizia a percorrere il nostro corpo fino ad arrivare al nostro cervello.

            Tutto ciò arriva a provocare delle alterazioni a livello cognitivo: ebbene si!

            La sigaretta, però, non contiene solo la nicotina: pensate che al suo interno abbiamo circa duemila sostanze tossiche. 

            Ora avete capito cosa significa  “fumare”?

            Quando il fumo è una dipendenza

            Quanto detto sicuramente vi starà facendo riflettere o forse no.

            Molto probabilmente vi starete continuando a chiedere “perché non riesco a smettere di  fumare”?

            Iniziamo a dire che una risposta a questo interrogativo c’è e come.

            Vi ricordate della famosa nicotina di cui abbiamo parlato poco fa?

            Bene, sappiate che quella rappresenta una vera e propria droga e come le altre droghe, alla fine arriva a creare dipendenza.

            La dipendenza fisica

            Quando parliamo di dipendenza dal fumo è bene specificare che abbiamo sia quella fisica che quella psicologica.

            Soffermiamoci su quella fisica: alla base sembra esserci un vero e proprio meccanismo biologico.

            La nicotina, come abbiamo detto, percorre il nostro corpo fino a stimolare, a livello cerebrale, il nostro sistema dopaminergico, il cosiddetto sistema della ricompensa, determinando così la produzione degli ormoni della gratificazione.

            E’ per questo che al nostro cervello piace fumare e quando qualcuno prova a smettere non può che verificarsi  un ‘astinenza da nicotina, che a sua volta produce ormoni come l’adrenalina e la noradrenalina che causano ansia, stress, insonnia e aumento dell’appetito.

            La dipendenza psicologica

            Ora parliamo di un altro tipo di dipendenza: quella psicologica.

            Si, perché spesso al rituale del fumare sono associate diverse situazioni.

            Insomma, quante volte allo stress lavorativo rispondiamo con il fumo di una sigaretta?

            La stessa cosa la facciamo durante una pausa caffè o in una giornata noiosa.

            Senza rendercene conto, la sigaretta diventa la risposta giusta ai nostri problemi. Quella ideale. Come mai?

            Secondo gli scienziati,il soltenere tra le mani una sigaretta ha il potere di infonderci sicurezza: in un certo senso, per molti, fumare significa proprio questo:  avere il controllo sugli eventi esterni.

            I dati : cosa ci dicono?

            Pensate che sono in molti a pensarla in questo modo: al mondo, oltre 1 miliardo di persone fumano.

            E quante persone perdono la vita a causa del loro vizio?

            Per capirlo, basti pensare che il 25% di tutti i decessi per cancro a livello globale sembra essere dovuto proprio all’uso del tabacco.

            In Italia la situazione sembra essere abbastanza critica: secondo i dati Istat,  i fumatori, tra la popolazione di 14 anni e più, sono poco meno di 10 milioni.

            Per quanto riguarda i decessi sappiamo che sono oltre 93 mila i morti all’anno: più del 25% di questi è compreso tra i 35 ed i 65 anni di età. 

            Insomma, questi dati sono davvero sconcertanti: per rendere meglio l’idea, basti pensare che il numero di vittime provocate dalla sigaretta è maggior rispetto  a quello associato all’alcol, alle droghe e agli incidenti stradali.

            Perché smettere di fumare? I vantaggi 

            Ora avete capito perché è importante smettere di fumare? 

            Ne va della vostra vita e non solo.

            Forse è arrivato il momento di imparare a dire no alla sigaretta, miei cari fumatori, non credete anche voi?

            Non ne siete ancora convinti? Continuate a leggere

            Per il nostro bene 

            Da quanto abbiamo detto sin’ora, non si può che evincere una grande verità: smettere di fumare significa avere la volontà di preservare la propria salute e la propria vita.

            Il fumo nuoce gravemente alla salute e questo è bene  ricordarlo ogni volta che siamo intenti ad accendere la nostra nuova sigaretta.

            Come la stessa Organizzazione mondiale della sanità afferma, questo vizio rappresenta la seconda causa di morte al mondo .

            Le sigarette infatti sembrano poter aumentare anche il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari, ictus, enfisemi e malattie respiratorie.

            Per non parlare del fatto che la sigaretta può arrivare a mettere a repentaglio la vostra bellezza.

            Si, perché basta smettere di fumare per non avere più occhiaie, denti gialli, alito cattivo. 

            Insomma, i vantaggi non sono mica pochi!

            Per il bene di chi ci sta accanto

            Smettendo di fumare farete un regalo anche a chi vi sta accanto, sapete?

            Pensate che sono 19 mila circa i non fumatori in Europa che muoiono per effetto dell’esposizione al fumo passivo.

            Ebbene si, a volte basta essere accanto ad una persona che fuma per avere degli effetti spiacevoli.

            Volete davvero prendervi questa responsabilità?

            Volete davvero che i vostri figli o i vostri genitori paghino per un vizio che è solo vostro?

            Smettere di fumare significa anche questo: voler bene a chi ci sta vicino.

            Per un fattore economico

            Insomma, l’abbiamo capito: dire addio alla sigaretta è sicuramente una delle cose migliori che voi fumatori  possiate fare, sia per il vostro bene che per quello delle persone che amate.

            Ma c’è anche un altro aspetto che non può essere sottovalutato: quello economico. 

            Ebbene si: smettere di fumare significa anche risparmiare.

            Basti  pensare a quanto costano oggi le sigarette : provate a farvi due conti ! 

            Non è forse il caso di utilizzare i soldi che spendete per le vostre sigarette in altro?

            Non sarebbe meglio metterli da parte per investirli in qualcosa di più produttivo?

            Se ci pensate, bene nelle vostre mani c’è anche il vostro futuro!

            Smettere di fumare; come riuscirci?

            Arrivati a questo punto dell’articolo, starete ripetendo a voi stessi che sicuramente è giusto smettere di fumare, ma che non sapete davvero da dove iniziare.

            Sicuramente avete provato e riprovato a buttare l’ennesimo pacchetto di sigarette, ma alla fine hanno sempre vinto loro.

            Ma è possibile o no smettere di fumare?

            Vi svelo un grande segreto: si!

            E possibile, ma solo se alla base c’è un grande impegno e grandi motivazioni.

            Non ci credete ? Provate a chiederlo a quei 12,5 milioni di persone che hanno smesso. Molto probabilmente vi diranno che la strada è lunga, ma una strada c’è e questo è l’importante.

            Smettere, contando su se stessi

            Cosa bisogna fare dunque per smettere di fumare? 

            Iniziamo con il dire cosa non dovreste fare. 

            Non pensate di poter mettere fine a questa storia, provando a smettere di colpo. Non funzionerebbe!

            I veri cambiamenti hanno bisogno di tempo, ma soprattutto bisogna partire con il piede giusto.

            Questo significa che non è necessario pensare al fatto che la strada sarà lunga  e che non ce la farete mai.

            Il fatto stesso di pensarla in questo modo significa partire con il piede sbagliato, fino ad auto-generarvi delle ansie e dei timori che non vi servono. Allora cosa bisogna fare?

            Dite con fermezza a voi stessi: voglio smettere di fumare! 

            Ma non dovete solo dirlo, dovete crederci davvero, altrimenti sarà impossibile anche solo pensare di smettere.

            Per abituarvi a questa nuova idea, provate a pensarla così: se ho scelto di cominciare, perché non posso scegliere di smettere? 

            In questo modo ricorderete a voi stessi che è tutto nelle vostre mani, ma soprattutto nella vostra testa.

            I primi ingredienti fondamentali e che quindi non possono proprio mancare sono proprio questi: convinzione e determinazione.

            Quando diciamo “i primi” c’è un perché:  insomma non basta solo questo, è necessario che facciate anche delle altre cose. 

            Innanzitutto dovete provare a definire una data precisa in cui dire addio alle vostre sigarette, senza rimandare.

            L’avete fatto? 

            Bene: adesso dovete mettere in campo tutta la vostra forza di volontà.

            Nei 10 giorni che precedono la data da voi scelta, provate a fumare una marca di sigarette che non gradite particolarmente, cercando di diminuire il numero di sigarette da fumare.

            Anche nelle prime settimane successive alla data da voi prescelta, è importante che facciate delle piccole cose, per evitare di tornare indietro.

            Provate per esempio a riportare su un foglio una lista di cose che credete di amare del fumo e spiegate anche il perché.

            Tutto questo vi aiuterà a capire cosa pensate riesca a darvi una sigaretta: vi fa sentire più rilassati?

            Successivamente provate a riportare su un foglio una lista di cose che secondo voi vi impediscono di smettere di fumare. 

            Alla fine, provate a mettere per iscritto i motivi per cui credete che smettere di fumare sia la cosa migliore da fare.

            Forse in questo momento vi starete chiedendo a cosa serva scrivere tutto questo.

            Serve e come: il fatto stesso di scrivere determinate cose vi aiuterà ad essere maggiormente consapevoli del fatto che i motivi per cui fumate, non sono reali,  bensì sono solo un modo per giustificare una cosa che, in realtà,  non ha senso.

            D’altronde mica ha senso continuare a fumare, dopo aver visionato i dati che parlano di decessi e ancora decessi!

            Provate, dunque, a guardare la lista delle cose che avete scritto: non vi rendete conto che i motivi scritti per giustificare il vostro vizio non hanno una base logica?

            Bene: questa consapevolezza è fondamentale per continuare in questo processo di guarigione, che però presuppone anche altro.

            Cosa?

            L’eliminazione e l’allontanamento di tutto ciò che ha a che fare con le sigarette: evitate di frequentare posti che potrebbero solo portarvi a fumare.

            Informate le persone vicine a voi della vostra scelta: se vi vogliono bene non faranno nulla per ostacolarvi.

            Chiedere aiuto 

            Avete provato a smettere di fumare, ma proprio non ci riuscite?

            Ogni tentativo si è rivelato essere un fallimento?

            Vi sentite delusi e scoraggiati? 

            Tranquilli, fa tutto parte del gioco e vi spiego il perché.

            Solo tre persone su cento riescono a smettere di fumare, contando  solo su se stessi.

            Insomma, se i vostri tentativi non hanno funzionato, non significa che siete degli incapaci. 

            Il tabagismo, come abbiamo visto è una vera e propria dipendenza e spesso come tale deve essere trattata.

            Cosa significa? 

            Semplice, se non siete riusciti da soli ad abbandonare la vostra amata sigaretta, potete rivolgervi ad un buon psicoterapeuta o ai vari centri Antifumo.

            Ce ne sono diversi distribuiti su tutto il territorio nazionale, sapete?

            Perché non provare ad uscirne in questo modo? Questi sono centri che aiutano i fumatori come voi nel loro percorso di “disintossicazione”,  attraverso terapie di gruppo e tanto altro.

            Perché non giocarvi questa carta? Potrebbe essere quella vincente!

            Prima smetterete di credere che la sigaretta vi aiuta ad alleviare il vostro stress e prima riuscirete a spegnere la vostra prossima sigaretta.

            O magari a non accenderla proprio.

            Riflessioni conclusive: cosa abbiamo detto?

            Come abbiamo avuto modo di vedere, intraprendere la strada della disintossicazione dalla sigaretta non è affatto semplice.

            Vi sono dei meccanismi a livello biologico che giocano un ruolo importante in tutto questo.

            Fondamentale in questi casi è la nostra fermezza a dire basta: solo in questo modo possiamo riuscire a mettere fine alla nostra storia con il fumo.

            Una storia che può essere a lieto fine, se solo vogliamo.

            Da oggi, in poi, dunque cercherete di spegnere quella sigaretta o no?

            Fatelo prima che sia lei a spegnere voi, la vostra salute e il vostro futuro.

            Dott.ssa Alessia Pullano
            Psicologa e Psicoterapeuta

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              Vivere il Presente: la Vera Chiave della Felicità

              Sempre più spesso leggiamo o sentiamo dire che dovremmo vivere nel momento presente, invece di continuare a lasciare che la mente vaghi tra i ricordi di eventi passati e il pensiero di quello che faremo nelle prossime ore e nei prossimi giorni.

              Sembra infatti che restare nel qui e ora aiuti a migliorare la qualità della vita, aumentando la concentrazione, l’autostima e riducendo notevolmente il rischio di soffrire di ansia e depressione.

              Ma come fare per placare la mente?

              Vedremo in questo articolo perché è importante vivere il presente e come fare per facilitare questo compito.

              Vivere tra passato, presente e futuro: la mente scimmia

              Anche se non ce ne accorgiamo, da quando ci svegliamo fino a quando andiamo a dormire, il nostro cervello è sempre attivo, i pensieri vanno e vengono continuamente.

              Mentre passeggiamo tra le vetrine in centro, ammiriamo un vestito elegante, pensiamo alla festa di compleanno della nostra amica il mese prossimo, alle scarpe che potrebbero essere abbinate e subito la mente va ai sandali indossati una sera d’estate, quelli che ci hanno fatto tanto male e ci ricordiamo che dobbiamo passare in farmacia a comprare il medicinale per il marito e subito la mente si sposta al menù per la cena.

              Si potrebbe continuare così all’infinito. La mente continua a spostarsi da un pensiero all’altro ininterrottamente, tanto da essere stata definita “mente scimmia”.


              Proprio come una scimmia che salta da un ramo all’altro dell’albero senza mai fermarsi troppo, infatti, la nostra mente salta da un ricordo di un evento passato a un pensiero relativo al futuro, soffermandosi solo di tanto in tanto su ciò che si sta facendo in questo esatto momento.

              Ma perché è così difficile vivere nel momento presente?

              Una società sempre più veloce

              Lo stile di vita occidentale favorisce in gran parte questo saltare da un pensiero all’altro. Siamo infatti sempre presi da mille impegni di lavoro, familiari e personali e questo aumenta la probabilità di sviluppare nel tempo disturbi d’ansia e depressione.


              A volte, quando gli impegni diventano troppi da gestire, ci si può sentire inadeguati.


              Le richieste della società e del mondo del lavoro possono aumentare e si finisce per esserne sopraffatti. E quando lo stress è alle stelle ogni cosa, anche l’impegno più semplice, sembra una montagna da scalare.

              Tutto questo succede perché la mente è programmata per spaziare nel tempo, con conseguenze non sempre negative.


              Il nostro cervello pensa costantemente al futuro e analizza gli effetti di quello che facciamo adesso su ciò che potrebbe accadere. Questo aiuta a programmare e rivedere impegni e obiettivi sul breve, medio e lungo termine.

              Ma proiettarci troppo nel futuro rischia anche di creare in noi speranze e aspettative che potrebbero anche non realizzarsi, causando un senso di vuoto e di frustrazione difficile da gestire. 

              Contemporaneamente, esaminiamo il passato e usiamo le informazioni della nostra esperienza per produrre idee nuove e creative, intuizioni e soluzioni.

              Il passato ci definisce e ci dà un senso di identità.
              Restare troppo ancorati al passato, però, rischia di bloccarci, di tenerci ancorati a qualcosa che non esiste più e che potrebbe anche non tornare.

              Gran parte dei pensieri, circa il 90%, sono “spazzatura”, sono cioè rimuginii o pensieri negativi, che non fanno altro che renderci la vita ancora più complicata.


              Per quietare la mente, dovremmo cercare di porre tutta la nostra attenzione su ciò che stiamo facendo in questo momento, senza lasciarci distrarre da altri pensieri intrusivi (a meno che, naturalmente, non siano utili per portare a termine il compito che stiamo svolgendo).

              Dovremmo cercare di tornare a vivere una vita “a misura d’uomo”, con ritmi e tempi diversi, più lenti e distesi. Le giornate dovrebbero essere più tranquille e costellate da pause, anche piccole, che permettano di ricaricare le energie e riprendere la concentrazione. 

              La ricerca della felicità

              L’uomo è da sempre a caccia di tutto quello che può renderlo felice. Purtroppo la ricerca è spesso indirizzata verso l’esterno: l’acquisto di beni materiali, l’accumulo di denaro, la ricerca di un nuovo lavoro o di un nuovo partner… il problema è che nulla di tutto questo ci assicura una soddisfazione duratura nel tempo.


              Perché i beni materiali dopo un po’ si rovinano, oppure passano di moda e allora ne vogliamo acquistare di nuovi. Il denaro finisce. Il nuovo lavoro o una nuova relazione possono non andare come vorremmo e quindi siamo spinti a cercarne sempre di nuovi.


              Molte persone sono ansiose e vorrebbero trovarsi da un’altra parte, la mente corre a luoghi e situazioni diverse da quelle nelle quali ci si trova.
              L’insoddisfazione è sempre dietro l’angolo.

              L’importanza di vivere il presente

              Ma perché è tanto importante restare ancorati al momento presente?

              Recenti ricerche dimostrano che una vita frenetica e una mente in balìa dei pensieri sono nemiche del benessere psicofisico, mentre vivere nel momento presente sarebbe la chiave per vivere felici.
              Porterebbe infatti vari benefici:

              1. Migliora la concentrazione e si ha un aumento della performance. Basti pensare a quando si deve studiare per un esame, ma si perde tempo pensando a cosa fare nel prossimo weekend. Il rischio è di non riuscire a prepararsi per tempo e dover rimandare l’esame.
              2. Si vive meglio con se stessi, tenendo lontane preoccupazioni legate a eventi futuri. Naturalmente molte di queste preoccupazioni (come per esempio la bolletta della luce o la multa da pagare) non spariscono se non ci pensiamo, tuttavia l’approccio del “qui e ora” aiuta a ridurre notevolmente i livelli di stress e la preoccupazione legati a questi pensieri.
              3. Aumenta la felicità e l’autostima. Avere una maggiore consapevolezza di sé e dei propri pensieri ci fa sentire più competenti e ci fa percepire di avere un reale controllo della nostra vita.
              4. Si impara ad ascoltare. Chi vive nel momento presente riesce a portare la giusta attenzione agli altri e si rende conto di tutto quello che accade attorno a lui. 
              5. Migliorano le relazioni amicali, di coppia, lavorative. Si riducono i litigi e le discussioni e i rapporti sociali diventano più soddisfacenti.
              6. Si impara ad apprezzare di più la vita e ad amare il mondo che ci circonda, semplicemente aumentando il nostro livello di consapevolezza. 
              7. Si è meno esposti a malattie fisiche. La riduzione dei livelli di stress ci mette al riparo da problemi legati al cuore e dai disturbi psicosomatici.
              8. Ci si può concentrare maggiormente su ciò che ci rende felici. Impariamo a prestare attenzione all’unico momento durante il quale abbiamo pieno controllo: il momento presente. Il passato non torna più e il futuro resta sempre un’incognita.
              9. Si riducono ansia, stress e depressione. Una delle cause che concorrono all’insorgenza di molte problematiche psicologiche è infatti uno stile di vita che non tiene conto delle proprie esigenze psicofisiche. 

              Ricordiamo sempre che i momenti più belli e intensi della vita accadono proprio quando siamo più concentrati e presenti nel momento.

              Come fare per vivere meglio il presente: strategie efficaci

              Di seguito elenco alcune strategie che possono aiutare a restare ancorati al momento presente.

              1. Appena puoi spegni i dispositivi elettronici. Tablet, cellulari, computer, televisione, rubano gran parte della nostra attenzione. Mettere in pausa questi dispositivi ti aiuta a mettere in pausa anche il continuo flusso di informazioni che arriva dal mondo esterno e ti permette di focalizzare l’attenzione su di te e sui tuoi bisogni del momento.
              2. Elimina tutto quello che non è necessario, tutto quello che pesa sulla tua quotidianità. Dagli oggetti o i vestiti che non usi più alle persone negative.
              3. Ottimizza la tua agenda, in modo tale da avere gli impegni ben distanziati e da avere anche il tempo per fare alcune pause rigeneranti.
              4. Evita il multitasking. Siamo ormai abituati a fare più attività contemporaneamente: parlo al telefono, mentre scrivo una email e butto un occhio alle notizie in tv. Fare più cose insieme può portare a non farne bene neanche una. Restare concentrato su ciò che stai facendo in questo momento ti permetterà di essere più veloce e di aumentare la qualità del tuo operato. 
              5. Concentrati. Dovunque ti trovi, prova a fare un respiro profondo e a chiederti “Cosa sta accadendo in questo momento?”. Fai molta attenzione a quello che stai facendo, alle emozioni e sensazioni di quel momento. (Nel prossimo paragrafo puoi trovare un esercizio che ti può guidare in questa pratica). 
              6. Riscopri la lentezza. In un mondo dove ogni cosa è sempre più veloce, è giunto il momento di rallentare. Vivere la vita con tranquillità permette di essere più concentrati e anche la salute migliora.
              7. Pratica la mindfulness. E’ una meditazione basata proprio sul restare ancorati al momento presente, praticando la consapevolezza non giudicante, attraverso l’ascolto del respiro o l’osservazione di un oggetto o della fiamma di una candela.
              8. Pratica Yoga, Qi Gong o Pilates. Unire esercizi fisici ed esercizi respiratori, aiuta a diventare più consapevoli del proprio corpo e più presenti nel qui ed ora.

              Un esempio di pratica: semplice esercizio di presenza mentale

              Restare centrati nel momento presente non è certo facile. Tuttavia questa è un’abitudine che può essere acquisita gradualmente, partendo da una pratica di pochi secondi al giorno.

              In alcuni monasteri orientali, il suono di una campana richiama l’attenzione sul momento presente in momenti precisi della giornata. Per qualche minuto, ogni attività si ferma, mentre i monaci portano tutta la loro attenzione e consapevolezza al momento che stanno vivendo.

              Anche noi, nel nostro piccolo, possiamo sperimentare qualcosa di simile.

              Ecco un esempio di un semplice esercizio di consapevolezza del momento presente.

              Scegli un momento della giornata in cui fermarti per qualche istante. Alza la testa e guarda intorno a te. Osserva tutto quello che ti circonda, il luogo nel quale ti trovi, gli oggetti, i colori dell’ambiente, ascolta i rumori e cogli gli odori e i profumi.

              Porta l’attenzione al tuo corpo. Senti i vestiti sulla pelle, l’aria tra i capelli, l’orologio al polso.
              Concentrati sul gusto che senti in bocca.
              Diventa consapevole delle emozioni e delle sensazioni fisiche che senti in quel momento. Se percepisci qualche tensione muscolare, se provi caldo o freddo, oppure se sei felice, rilassato o stanco.

              Se vuoi puoi, in un secondo momento, portare l’attenzione per qualche minuto al tuo respiro, ascoltando l’aria che riempie i polmoni e l’aria che esce, svuotandoli.

              Prova a restare concentrato da pochi secondi fino a qualche minuto, poi torna alla tua attività.

              Semplice vero? Molto più di quanto si possa pensare.


              Questa pratica può sin dall’inizio riservare delle piacevoli sorprese e può farci scoprire qualcosa in più su di noi e sul funzionamento della nostra mente.


              L’obiettivo è aumentare sempre di più il tempo durante il quale restare ancorati al momento presente, diventando consapevoli di ogni attività quotidiana, dal bere una tazza di tè, a lavare i piatti, a scrivere una relazione, a fare una passeggiata nel bosco.


              Insomma, ogni momento della nostra vita può essere vissuto più pienamente, restando nel qui e ora.

              Esistono anche alcune App per smartphone che hanno la stessa funzione della campana dei monaci, di cui parlavamo prima. Queste App consentono di programmare per vari momenti della giornata un suono, per aiutarci a ricordare di stare nel momento presente.

              Imparare ad essere più presenti e partecipi della propria vita è l’inizio di un bellissimo viaggio, un viaggio che porta a un maggiore equilibrio fisico e mentale, alla pace interiore, alla consapevolezza di sé, a una maggiore vitalità e, infine, alla tanto ricercata felicità.

              Dott.ssa Alessia Pullano
              Psicologa e Psicoterapeuta

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                Paura di Volare: Come Superarla

                In questo articolo analizzeremo la paura di volare e i metodi per superarla.

                Quanti di voi hanno sempre tanta voglia di partire?  

                Quanti di voi, soprattutto nel periodo estivo, non  desiderano altro che prendere un aereo e andare via, lontano, per visitare posti sempre più nuovi?

                In tanti aspettano l’arrivo delle vacanze, proprio per dare un taglio a tutto e partire, via.

                Spesso, però qualcosa frena tutto quest’entusiasmo: di cosa parliamo?

                Della paura di volare: ci sono alcuni posti che possiamo raggiungere solo in aereo, eppure questa consapevolezza non basta a chi ha paura di  salirci su.

                Ebbene si: se per alcuni l’aereo altro non è che  un veicolo pronto a portarci dall’altra parte del mondo, per altri invece è solo un mostro che fa paura, un nemico da evitare.

                Quanti tra di voi al sol pensiero di dover prendere un aereo, provano tanta e tanta paura?

                Quanti di voi non fate altro che rimandare e rimandare quel viaggio che tanto desideravate fare?

                Per quanto per alcuni questa sia una paura di poco conto, per altri è una vera e propria fobia, che si chiama appunto aereofobia.

                Cerchiamo di capirne di più, qui di seguito.

                Le statistiche a riguardo: cosa ci dicono o dimostrano?

                L’abbiamo detto poc’anzi: in molti possono poter avere la paura dell’aereo e quindi di volare. 

                Una paura nota sotto il nome di aereofobia e che sembra colpire più persone di quanto noi stessi possiamo pensare.

                Pensavate di essere i soli ad avere paura dell’aereo? 

                Beh, sappiate che non è affatto così: secondo alcuni dati a riguardo, sembrerebbe che 1 persona su 2 ha paura di volare.

                Donne, uomini, piccoli o grandi, non importa: questa paura può arrivare a colpire tutti, senza distinzione alcuna.

                Secondo alcuni dati, solo in Italia 6 persone su 10 ne soffrono.

                Eppure se facciamo riferimento alle statistiche che riguardano gli incidenti aerei, non possiamo non renderci conto di come i dati sembrino essere davvero rassicuranti.

                Pensate che nel 2019 ci sono stati 95 incidenti aerei, di cui solo 8 hanno registrato vittime. 

                Sono dei buoni numeri questi, se pensiamo al fatto che in quell’anno  si sono avuti 38,29 milioni decolli, non credete?

                A tal proposito non possiamo non fare riferimento ad una ricerca fatta qualche anno fa, da cui si è evinto che prendere l’aereo è 18 volte più sicuro che stare a casa e 10 volte più sicuro che stare a lavoro.

                Perché abbiamo paura?

                I dati appena forniti non possono che rassicurarci, eppure chi ha paura dell’aereo non ne è così sicuro. 

                Perché? 

                Perché prendere l’aereo per alcuni significa “poter morire”.

                Se ci pensiamo bene il motivo non è così difficile da capire: noi siamo degli animali terrestri e non voliamo.

                Per questo la nostra paura dell’aereo può essere così grande da farci ignorare qualsiasi statistica che voglia rassicurarci.

                In certi casi, insomma, la ragione non esiste. 

                A parlare  è solo la nostra paura e la parte più primitiva del nostro cervello emotivo che alla fine vince sui nostri sogni.

                Ma come si manifesta questa paura?

                Sintomi e cause dell’aereofobia

                Questa fobia può essere caratterizzata dalla comparsa di sintomi sia somatici che psicologici.

                Tra i primi ritroviamo tachicardia, respirazione affannosa, sensazione di mancanza d’aria, sudorazione eccessiva, nausea, crampi addominali, tensione e dolori muscolari.

                Quando parliamo invece di sintomi psicologici ci riferiamo alla sensazione di’inquietudine che si prova.

                 Alle fantasie catastrofiche che possono essere partorite dalla nostra mente e all’ansia che ne deriva.

                Ma cosa c’è alla base della paura di volare?

                Iniziamo con il dire che dietro questa paura sembrano esserci diversi significati.

                Chi ha paura di volare può poter  avere semplicemente paura di morire in un modo che non si può proprio evitare e senza avere alcuna via d’uscita.

                Vediamo come dunque a questo timore si accompagni un’ altra paura:  quella di lasciar andare il controllo, quella del distacco dalle proprie certezze e dalla propria stabilità.

                Volare, in un certo senso,ci espone alla separazione e ciò può portarci a provare angoscia e malessere.

                Alla base dell’aereofobia, però, può poter esserci anche altro: l’aver vissuto  una pregressa esperienza negativa, per esempio.

                Pensiamo a chi per esempio ha sperimentato delle turbolenze in volo o chi ha parenti o conoscenti che a  loro volta le hanno sperimentate.

                In questi casi può poter prendere vita questa specifica paura, che può anche essere scatenata dalla presenza di altre fobie, come la claustrofobia, che altro non è che l’insofferenza di trovarsi in un ambiente chiuso.

                Ma la lista delle probabili cause non finisce mica qui: anche una scarsa conoscenza del mezzo aereo, può portare all’insorgenza di questa paura.

                Alla base dell’aereofobia, come affermano diversi psicologi,  possono poter esserci anche delle dinamiche relazionali vissute in passato, con i nostri genitori: spesso sono proprio quest’ultimi ad aver paura dell’aereo.

                Una paura questa che alla fine diventa anche nostra.

                A questo punto  vi starete chiedendo cosa si può fare per superare una paura di questo tipo.

                Una paura che spesso ci costringe a non visitare posti che magari sognavamo di vedere da bambini.

                O a rinunciare a quel posto di lavoro che può essere raggiunto solo in aereo.

                Superare la paura di volare

                Qui di seguito cercheremo di rispondere proprio a questo interrogativo.

                Come abbiamo visto, il volare espone ad un distacco dalla terra e quindi dalla propria stabilità e dalle proprie sicurezze.

                Non stupiamoci, dunque, se qualcuno arriva a preferire 20 ore di macchina pur di non salire su un aereo.

                Eppure vi sono dei piccoli accorgimenti che potete mettere in pratica, se volete contrastare la vostra paura, sapete? 

                Come abbiamo detto poco fa, la nostra ansia prende il sopravvento quando è il nostro cervello emotivo a comandare.

                In questi casi sono dunque le nostre emozioni ad avere la meglio: ecco perché i nostri pensieri non hanno alcun potere su di noi.

                Cosa possiamo fare dunque per allenare quella che è la nostra parte razionale? 

                Vediamo alcuni suggerimenti pratici che potrete mettere in atto sia prima che durante il volo.

                Cosa fare prima di volare

                Per riuscire a superare la paura di volare, innanzitutto bisogna superare la paura di prendere l’aereo.

                Cosa occorre fare, dunque, per allontanare la paura di salire su un aereo?

                • Informatevi: volete superare la vostra paura?

                Bene, iniziate a frequentare degli specifici corsi o seminari che abbiano lo scopo di aiutare gli aerofobici a superare le loro ansie.

                Questo è davvero importante: pensate che sono diversi gli esperti che affermano come alla base delle situazioni che scatenano il panico, ci siano proprio le nostre errate interpretazioni riguardo al volo.

                Sono in molti a non sapere cosa potrebbe succedere durante la fase di decollo e di atterraggio: saperlo può aiutarvi, per esempio, a non interpretare in modo esagerato una  turbolenza. 

                • Potrebbe essere utile anche approfondire le proprie conoscenze tecniche:  ci siamo mai chiesti cosa permette ad un aereo  di volare?  Ci siamo mai chiesti quali siano le sue procedure di sicurezza?

                Se la risposta a tutto questo è no, allora forse è arrivato il  momento di iniziare a farlo.

                Conoscere tutto questo non potrà che esservi d’aiuto nella gestione della vostra ansia.

                • Parlate della vostra paura :proviamo a razionalizzare la nostra paura, parlandone con qualcuno che ha già affrontato la sua. 

                A tal proposito potete porre le vostre domande ad amici e parenti che hanno già preso l’aereo.

                Ascoltando le loro parole potrete sicuramente trovare un certo sollievo e rendere la loro esperienza, vostra.

                • Abituate la vostra mente: cosa significa quanto appena detto?

                Che possiamo iniziare a fronteggiare la nostra paura,  abituando  la nostra mente ad affrontare una situazione di questo tipo.

                Cerchiamo di fare un esempio concreto: qualche giorno prima della partenza, cercate di visualizzare nella vostra mente le fasi che precederanno il vostro viaggio.

                Pensate a quando per esempio partirete da casa per andare in aereoporto.

                Pensate al momento del “check in” fino a quando allaccerete le cinture.

                Insomma, abituate la vostra mente a tutto questo.

                Come prenotare 

                Avete deciso di partire e dunque volete prenotare il vostro volo?

                Bene, anche in tal caso dovrete fare attenzione a dei piccoli dettagli.

                Innanzitutto cercate di volare in compagnia di una persona di cui vi fidate, magari una persona che ha già preso l’aereo.

                Lo step successivo? Provate a scegliere il sedile giusto per voi.

                A tal proposito potete controllare per esempio, compagnia per compagnia quali sono i sedili dedicati alle uscite di emergenza.

                Se non sapete quale posto scegliere, se accanto al finestrino o vicino al corridoio, non temete qui vi daremo delle indicazioni utili anche per questo.

                Partite sempre dal presupposto che sedersi accanto al finestrino può aiutarvi a distrarvi, mentre siete intenti a guardate il panorama.

                Anche sedersi al centro può essere utile, perché può consentirvi di avere due braccioli a cui aggrapparvi, nel caso in cui possiate provare ansia e paura.

                Cosa fare prima di partire

                Ora passiamo a vedere cosa occorre fare le ore precedenti il viaggio: si, perché anche questo è importante se vogliamo imparare a mantenere la calma.

                Prima di partire, cercate di riposarvi: non bisogna essere stanchi, altrimenti il vostro malessere aumenterà.

                Evitate inoltre di bere bevande eccitanti, come il caffè, cocacola, ma soprattutto evitate di guardare il meteo. Tutto questo non potrà che far aumentare la vostra ansia.

                Per tenerla a bada potete cercare, su google, alcuni esercizi rilassanti da fare mentre siete in volo.

                Per quanto riguarda il vostro abbigliamento, provate ad indossare  dei vestiti comodi e  portate con voi qualcosa che vi aiuti a rilassarvi.

                Un buon libro, per esempio .

                Cosa fare durante il volo

                Siamo arrivati al momento che temete di più vero?

                Insomma, siete già in volo e siete terrorizzati?

                • Distraetevi: la prima cosa che dovete fare è quella di concentrarvi per evitare di interpretare ogni cosa in modo esasperante.

                Cercate di mantenere una certa lucidità: come  riuscirci?

                Leggete, guardate un film, ascoltate della musica che come si evince da alcuni studi ci aiuta a calmare le nostre ansie e paure, soprattutto se siamo in volo.

                Potete inoltre provate a dormire o a mangiare.

                E se l’ansia dovesse prendere nuovamente il sopravvento, assicuratevi di respirare profondamente, in modo lento, provando a mettere in pratica gli esercizi scaricati prima di volare.

                • Proiettatevi al futuro: se tutto questo non sembra bastarvi,  provate a pensare al dopo, a tutto quello che farete una volta atterrati.

                Ai nuovi posti che visiterete. Ai fantastici ristorantini che scoprirete in California o allo shopping che farete a New York.

                Insomma pensate a tutto quello che c’è al di là della vostra paura.

                • Condividete le vostre paure:oltre quanto detto sin’ora potete far anche altro, sapete?

                Se continuate ad avere delle ansie, non perdete tempo e fate le vostre domande al personale di bordo. Essendo addestrato ad interagire con queste fobie, non potrà che aiutarvi ad avere delle risposte: in questo modo potrete mettere a tacere le vostre ansie.

                Potete parlare anche con il vostro vicino: anche questo potrebbe essere utile per farvi stare meglio.

                Riassumendo: cosa abbiamo detto sin’ora

                Insomma, come abbiamo visto sin’ora, la paura di volare può portarci ad evitare di prendere un aereo, ma questo può impedirci di viaggiare e conoscere altri posti..

                Alla base di questa paura sembrano esserci diversi meccanismi psicologici e diverse cause, ed è da queste che bisogna partire, se vogliamo davvero superare le nostre paure.

                Qui sopra infatti abbiamo visto cosa occorre fare prima e durante un viaggio in aereo: ora sta a voi cercare di mettere in pratica tutto questo.

                Volete ancora rimandare il vostro viaggio dei sogni? Desiderate ancora sognare ad occhi aperti?

                Vi farete ancora sopraffare dalle vostre paure? 

                Badate bene, la scelta è solo vostra.

                Ma ora sapete che il vostro vero nemico non è l’aereo, ma la vostra paura. Perché non provare a “volare” oltre questa allora?

                Dott.ssa Alessia Pullano
                Psicologa e Psicoterapeuta

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