In questo articolo cercheremo di capire come gestire la rabbia.
I vari tentativi per definire cosa siano la rabbia e quindi l’aggressività sono stati molteplici nel corso degli anni, questo perché i concetti cambiano a seconda che si consideri la rabbia come un “istinto”, una “modalità comportamentale” o una “emozione” in risposta ad un evento stressante e/o frustrante.
Tra gli studiosi che si sono occupati in Psicologia di fornirne una descrizione, Hinde nel 1974 l’ha definita come una tendenza, che è presente sia nell’uomo sia nell’animale, a manifestare un comportamento finalizzato a combattere qualsiasi fenomeno minacci l’integrità dell’organismo o tesa a provocare un danno agli altri.
L’aggressività è anche una tendenza presente in diversi comportamenti o fantasie volti all’etero ma anche all’auto distruzione.
L’aggressività, però, va precisato, non ha sempre una connotazione negativa. Infatti essa può essere adattiva quando rappresenta una risorsa per chi si deve difendere da un attacco altrui; è messa in atto con l’obiettivo di ridurre le conseguenze negative e di proteggere il benessere fisico e psichico sia proprio che del proprio gruppo di appartenenza.
L’aggressività diventa invece disadattiva quando è intenzionale e viene causato un danno.
Frustrazione chiama rabbia
Studi condotti in laboratorio hanno accertato che alcuni animali si comportano in modo aggressivo in risposta a diversi agenti stressanti, come il non ricevere la ricompensa di cibo che aspettavano, il sovraffollamento e le scosse elettriche.
Spesso i bambini mostrano un comportamento aggressivo quando sono frustrati. L’ipotesi della frustrazione-aggressione, infatti, sostiene che ogni volta che gli sforzi di una persona diretti verso il raggiungimento di uno scopo vengono bloccati, si sviluppa una pulsione aggressiva che motiva un comportamento ai danni dell’oggetto o della persona che causa la frustrazione.
Possiamo quindi dire che, anche se diverse ricerche hanno dimostrato che l’aggressività non è una risposta inevitabile al senso di frustrazione, è comunque per certo una delle soluzioni che vengono spesso prese in considerazione.
Quando ad esempio un bambino sottrae ad un altro un giocattolo, è molto probabile che il derubato si arrabbi e lo attacchi, nel tentativo di riavere ciò che è suo.
In uno studio condotto alla fine degli anni Ottanta, un gruppo di adulti che erano frustrati da un gorgo stradale interminabile sulle autostrade roventi di Los Angeles iniziò a spararsi a vicenda.
Fortunatamente gli adulti di solito sfogano la loro aggressività con le parole, piuttosto che passare ai fatti e alle mani – anche se purtroppo accade di frequente – e sono più inclini ad insultarsi, almeno prima che le cose trascendano, piuttosto che picchiarsi.
L’aggressione che è diretta verso la fonte di una frustrazione non sempre è possibile o saggia.
Alcune volte infatti non è tangibile ed è imprecisa. La persona non sa di preciso verso chi o cosa sfogarsi, ma si sente comunque arrabbiata e quindi cerca un oggetto sul quale sfogare questa rabbia.
Altre volte chi è responsabile di questo senso di frustrazione è così potente che attaccarlo potrebbe essere pericoloso.
Nel momento in cui le circostanze bloccano un attacco diretto verso la causa della frustrazione, l’aggressività può essere spostata: ecco quindi che l’azione aggressiva viene diretta verso una persona o un oggetto innocente piuttosto che verso la causa reale della frustrazione.
Un uomo che viene ripreso severamente sul lavoro può infatti scaricare questa sua rabbia su chi non ha nessuna colpa come la sua famiglia, ed una studentessa che è arrabbiata con il suo professore perché ha preso un brutto voto può prendersela con il suo ragazzo o con una amica.
Allo stesso modo, un bambino o un ragazzo che è arrabbiato per le sue esperienze scolastiche può ricorrere ad atti di vandalismo a scuola ma anche in strada.
Quando l’ambiente ci influenza
Uno studioso che ha condotto esperimenti approfonditi sulla rabbia e l’aggressività è lo psicologo Albert Bandura, che nel 1973 pubblicò un’opera dedicata all’aggressività, sintetizzando gli studi compiuti fino ad allora e soprattutto riportando esperimenti condotti da lui e collaboratori dall’inizio degli anni Sessanta.
Bandura con la sua teoria sociale-cognitiva, ha messo in primo piano il ruolo cognitivo attivo del soggetto nell’assimilare e riprodurre condotte aggressive e l’interazione con il contesto sociale.
Per Bandura infatti esiste una teoria dell’Agenticità, ovvero una teoria che studia la capacità del soggetto di considerarsi responsabile delle sue azioni e degli eventi che accadono, la sua percezione di averne il controllo e di poterli influenzare o determinare.
I fattori che determinando l’acquisizione di un comportamento sono molteplici, e comprendono sia motivazioni cognitive (come le strutture di pensiero, di pianificazione, di elaborazione del soggetto), comportamentali (gli schemi di azione che mette in atto l’individuo), che contestuali (come le influenze sociali che provengono dall’ambiente in cui vive la persona).
Questi tre fattori si influenzano a vicenda ed agiscono l’uno sull’altro in vario modo.
Il soggetto, quindi, non agisce in modo isolato, come se fosse solo, ma è inserito in una rete in cui è sia la causa che l’effetto del suo comportamento.
L’interazione tra strutture cognitive, comportamentali e contestuali determina l’acquisizione dei comportamenti, inclusi quelli aggressivi, in 3 modi:
- il modellamento, ovvero l’osservazione e l’imitazione dei comportamenti degli adulti o dei coetanei, o di modelli trasmessi dai mass media.
- l’approvazione o disapprovazione degli altri riguardoad una scelta
- l’intuizione, cioè la comprensione dell’adeguatezza e dell’efficacia di un comportamento basandosi sulla propria esperienza.
L’Esperimento del bambolotto Bobo Doll
Un gruppo di bambini della scuola materna durante un esperimento era stato messo ad osservare uno sperimentatore che picchiava ed offendeva Bobo, un bambolotto gonfiabile.
Il secondo gruppo osservava lo sperimentatore giocare invece del tutto tranquillamente.
Il terzo gruppo al contrario degli altri due, non osservava alcun modello.
Ciascun gruppo venne poi accompagnato in una stanza per giocare dove i bambini avrebbero trovato diversi giochi ed un Bobo Doll.
I risultati furono evidenti: il gruppo che aveva osservato il gioco violento lo riproponeva sul bambolotto gonfiabile. Quello che invece aveva osservato il gioco tranquillo e quello che non aveva ricevuto alcun modello, giocavano in modo meno aggressivo. Dopo questo esperimento, Bandura sostenne che i modelli aggressivi vengono tanto più imitati quanto più essi risultano premiati, secondo la logica del rinforzo positivo.
Egli collega la teoria della frustrazione- aggressività asserendo che la frustrazione si traduce in aggressività soltanto se il soggetto ha precedentemente appreso modelli di risposta aggressivi.
Le complicazioni della rabbia
Alcune patologie o condotte legate alla rabbia e all’aggressività sono il bullismo nel contesto scolastico, in cui avvengono modalità di aggressione e provocazione tra bambini che sono ripetute, intenzionali e dannose sia psicologicamente che socialmente.
Anche il disturbo della condotta che si presenta in età evolutiva sotto forma di violenza e di violazione delle norme può sfociare in età adulta nel disturbo Antisociale di Personalità.
Non scordiamo che l’aggressività può essere rivolta anche verso se stessi, con episodi di autolesionismo che spesso si presenta in disturbi come il disturbo Borderline di personalità e/o nei disturbi depressivi.
Negli adulti, è la cronaca di ogni giorno a sottolineare tristemente quanto siano diffusi lo stalking in ambito criminologico e le violenze sessuali o psicologiche nella coppia.
Alcune soluzioni
Negli ultimi decenni è diventato fondamentale il ruolo della scuola nella prevenzione dei comportamenti aggressivi, soprattutto con la diffusione del fenomeno del bullismo. E’ importante che nella scuole vengano attuati programmi di prevenzione e di intervento mirati a sviluppare un’educazione alla non violenza. Lo scopo dovrebbe essere quello di aiutare bambini e ragazzi ad affrontare in modo appropriato tutte le situazioni che potenzialmente sono in grado di suscitare reazioni violente ed aggressive.
Si tratta quindi di promuovere sia una maggiore sicurezza e fiducia in se stessi ed anche la capacità di superare difficoltà e insuccessi senza attuare comportamenti aggressivi.
Nel caso di bambini molto piccoli, di frequente vengono impiegati giochi ed esercizi di interazione che hanno lo scopo di insegnare quali sono le soluzioni e le strategie non aggressive che permettono il superamento di un problema.
In linea generale, le pratiche educative odierne mirano a canalizzare la naturale aggressività degli alunni verso forme più sane, mature, costruttive e responsabili. Gli obiettivi sono stimolare e favorire comportamenti prosociali, come la collaborazione e l’aiuto tra compagni, ed evitare forme di insegnamento repressive ed esageratamente punitive.
Infatti qualunque insegnante che tenta di dominare e controllare l’aggressività naturale degli alunni non ottiene altri risultati se non un aumento delle manifestazioni aggressive.
La rabbia vista da un’altra prospettiva
Siamo per natura portati a ferire chi abbiamo davanti e ad incolparlo ma non sappiamo che l’operazione più proficua che potremmo fare è quella di metterci in discussione.
Infatti se riuscissimo a spostare l’attenzione dagli altri a noi stessi, potremmo capire cosa sta succedendo al nostro interno, nel nostro mondo interiore.
Per riuscire a farlo però, solitamente è necessario ricorrere all’aiuto di uno Psicologo, che saprà accompagnarci in un viaggio interiore alla scoperta dei nostri bisogni.
Impariamo a distinguere stimolo e causa
Spesso crediamo che a causare la nostra rabbia sia stata una frase o una affermazione, o ancora una affermazione che qualcun altro ha messo in atto.
Se facciamo un esempio, possiamo pensare a quando il nostro capo ci rimprovera. Noi gli abbiamo chiesto un aumento e lui non ce lo concede.
Immediatamente sentiamo salire la rabbia e pensiamo che è una cosa ingiusta, che non lo meritiamo e che il nostro capo sia un buono a nulla, o che comunque non sia in grado di distinguere un lavoratore meritevole da uno che non lo è.
Se invece spostassimo l’attenzione dal suo comportamento a ciò che noi proviamo in reazione al suo rifiuto, impareremmo molto su di noi.
Infatti la vera causa della nostra collera non è il nostro superiore, ma siamo noi stessi.
Vi chiederete come sia possibile tutto questo, ma se provate a soffermarvi e a riflettere, capirete che la nostra reazione negativa è scatenata da un bisogno insoddisfatto.
Il nostro bisogno che quindi non è stato riconosciuto è quello di sentirci una persona meritevole, efficace, competente, su cui si può fare affidamento e che per questo merita un aumento di stipendio.
Se è colpa del senso di colpa
Viviamo in un mondo in cui per la maggior parte di noi ha funzionato la regola del senso di colpa. Se da piccoli facevamo qualcosa che non andava ai nostri genitori ecco che ci facevano subito sentire responsabili delle loro sofferenze, magari inutilmente. Oppure se prendevamo un voto basso a scuola, ci sentivamo dire che non saremmo mai riusciti a rendere felice nostra madre, orgogliosa di noi.
Di conseguenza, la nostra delusione si trasformava in rabbia.
Ecco quindi che sin da piccoli siamo stati abituati a confondere la rabbia con il senso di colpa.
Per motivare un comportamento ecco che cambiamo le carte in tavola con il risultato di confondere lo stimolo con la causa. In questo modo, raccontiamo delle bugie ai nostri figli che però per loro non sono tali, bensì solide verità.
I nostri bisogni parlano
La causa della rabbia non deve essere cercata al di fuori di noi, magari in chi ci parla o ci giudica, ma nel nostro modo di pensare.
Per dirla in parole più semplici, non è il comportamento degli altri a farci infuriare, ma è il nostro bisogno insoddisfatto o deluso che parla. Se riusciamo, quindi, a metterci in contatto con i nostri bisogni invece di arrabbiarci, possiamo migliorare le cose. Ad esempio, possiamo provare comunque dei sentimenti anche forti, ma senza arrabbiarci.
Se ci troviamo a dovere scrivere al pc e veniamo distratti da dei rumori che provengono da fuori, tendiamo a perdere la pazienza con i vicini o comunque con chi è causa del rumore. Se invece riflettiamo possiamo arrivare a capire che è più utile trasformare l’aggressività con la comprensione: abbiamo bisogno di concentrazione, cosa possiamo fare nell’immediato?
La soluzione sarà quella di adottare un ragionamento divergente, ovvero cambiare stanza, chiudere magari la finestra o indossare delle cuffie.
Se a darci noia sono invece magari i nostri figli che tengono la tv ad alto volume, possiamo semplicemente spiegare loro che abbiamo bisogno di silenzio per lavorare e chiedere con calma di abbassare il volume. Sicuramente lo faranno: se ben motivate, le richieste vengono solitamente esaudite e risultano molto più attendibili se a farle è qualcuno che non è in preda alla rabbia o fuori di sé.
Se impariamo a leggere la nostra rabbia come un bisogno insoddisfatto, possiamo agire concentrandoci su ciò che ci manca e di cui abbiamo bisogno, per poi cercare di ottenerlo.
Scriviamo ciò che non sopportiamo
Un’altra tecnica efficace consiste nello scrivere su un foglio di carta i giudizi che ricorrono più di frequente nella nostra mente.
Ad esempio, se pensiamo di non tollerare chi è pigro, chiediamoci quale sia il bisogno che è alla radice di questa convinzione. Magari siamo stati sposati con una persona che non muoveva un dito per aiutarci nelle faccende domestiche, ed oggi nutriamo un sincero risentimento verso chi sembra essere come il nostro ex.
Oppure siamo persone dinamiche e veloci, che amano le sfide e sentiamo di non sopportare chi non rischia e preferisce invece sentirsi al sicuro.
Ogni nostro comportamento è motivato
Non ci arrabbiamo perché sono gli altri che ci insultano ma perché abbiamo il bisogno di sentirci trattati con giustizia.
Se ci concentriamo su di noi invece che dare le colpe agli altri potremo migliorare le nostre condizioni di vita.
Possiamo quindi iniziare fermandoci, respirando profondamente, non parlando e soprattutto non diamo le colpe a nessuno.
Poi troviamo quali sono i pensieri che ci causano rabbia e quindi connettiamoli ai bisogni che sono loro sottostanti.
Solo adesso potremo raccontare la nostra versione dei fatti.
In questo modo avremo trasformato la rabbia e potremo capire meglio quali sono i nostri bisogni e quindi i bisogni ad essa collegati.
Dott.ssa Alessia Pullano
Psicologa e Psicoterapeuta
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