Dipendenza dal Sesso

La Dipendenza dal sesso , chiamata in In inglese sex addiction, è un problema in continua e rapida crescita nella nostra società, ma ancora poco conosciuto. 

Un po’ di Storia

Nel 19 ° secolo, le etichette follia morale , satiriasieninfomania furono assegnate ad individui che avevano perso il controllo sui loro comportamenti sessuali.

Oggi, il termine dipendenza sessuale ha lo stesso scopo ma è un vocabolo molto generico e spesso usato in modo improprio. 

Lo psicologo e sessuologo Patrick Carnes nel 1983  utilizzò questa denominazione per descrivere la problematica molto prima che Internet e le tecnologie ad esso correlate prendessero campo. 

Oggi Internet offre moltissime possibilità di accedere a materiale pornografico e servizi di prostituzione online grazie ad un accesso libero e illimitato, fornendo anche la possibilità di chattare e fare giochi erotici online.

Queste nuove opportunità ci mostrano quanto sia forte il potere della stimolazione sessuale, che viene messa in atto senza che esista una relazione tra i due individui.

A molti, infatti, queste forme alternative di soddisfazione sessuale piacciono talmente da portarli a mettere in discussione le regole della monogamia, sia nella vita di coppia che nel matrimonio. ( Skegg, Nada-Raja, Dickson, & Paul, 2009 ).

La dipendenza sessuale è un argomento confuso e controverso.

Suscita giudizi molto negativi perché gli schemi che ricorrono in chi ne soffre implicano il tradimento, comportamenti sessuali a lungo nascosti ed espongono gli ignari partner al rischio di contrarre malattie, con la conseguenza di potere essere lasciati.

I medici e gli psichiatri non sanno con precisione fino a che punto questa dipendenza debba essere trattata come un disturbo comportamentale, piuttosto che come il sintomo di un problema differente oppure una scelta che riflette solo la sensibilità personale di ognuno. 

Cosa è la dipendenza sessuale

I comitati che si occupano della redazione del Manuale Diagnostico e Statistico (DSM) non hanno ancora trovato ragioni sufficienti per descrivere la dipendenza sessuale come un disturbo psichiatrico, forse perché i limiti della “normalità” sessuale non sono definiti chiaramente.

I sintomi non sono distinti e sono in gioco giudizi morali. Etichettare un individuo, stigmatizzandolo, può essere improprio e nocivo.

Ciò che costituisce il problema maggiore della dipendenza dal sesso è la sensazione di vergogna che la circonda e che impedisce a chi ne è colpito di chiedere aiuto. 

Proprio per questo bisognerebbe parlare di più di questa patologia e portarla all’attenzione di tutti, in modo che essa possa venire considerata una malattia come le altre, che va curata.

La dipendenza da sesso è molto controversa: c’è chi pensa che sia solo una invenzione o una scusa per poter fare sesso quanto e come si vuole, a dispetto delle persone che vengono ferite.

Altri credono che la dipendenza venga chiamata in causa per descrivere chi ha gusti sessuali particolari. 

La verità è invece che questo tipo insidioso di dipendenza riguarda molte persone, e sicuramente senza saperlo conosciamo anche noi qualcuno che soffre di questo disturbo, ma che se ne vergogna troppo per uscire allo scoperto.

Ciò che sappiamo è che sempre più persone ottengono diagnosi sbagliate o male interpretate, con la conseguenza di non ricevere un supporto ed una cura adatti al loro problema, che spesso viene sottovalutato.

Sappiamo che chi viene definito alcol dipendente ha ripercussioni serie nella vita dovute a questa sua abitudine molto pervasiva. 

Ma se chi è alcolizzato non riesce a smettere di bere o a diminuire il consumo che, anzi, deve essere sempre più elevato,  allo stesso modo chi è dipendente dal sesso non riesce a smettere di usufruire di pornografia e di altri comportamenti sessuali compulsivi. 

Molti psichiatri e psicologi preferiscono denominare questo tipo di problematica in modo generico come Dipendenza da sesso; questo perché la patologia causa una vera e propria impossibilità di fare a meno di esso e sempre più ricerche stanno dimostrando quanto la dipendenza dalla pornografia, cui si ricorre in modo compulsivo, abbia pressoché gli stessi effetti nella chimica cerebrale delle dipendenze “chimiche” come quelle da farmaci – barbiturici, antidolorifici – o da alcool e droghe. 

Ciò che invece pochi sanno è che molte persone che soffrono di dipendenza da sesso hanno alle loro spalle delle storie di deprivazione affettiva subita nel corso dell’infanzia. Inconsciamente, questi soggetti utilizzano questi comportamenti proprio per dimenticare il dolore che risiede nei loro vissuti.

Non dobbiamo dimenticare però che chiunque può cadere nella rete delle dipendenze: questo a causa di una quasi totale mancanza di prevenzione sia nelle scuole che in famiglia.

Se, poi aggiungiamo il fatto che quasi tutti oggi possediamo un cellulare o un pc, e che la fonte è subito disponibile (i siti di pornografia sono pressoché ovunque) possiamo farci un’idea più chiara di quanto questo fenomeno sia grave e diffuso.  

Il Porno: una industria fiorente

E’ stato accertato che i motori di ricerca come Google ricevono ogni giorno per tutto l’anno almeno 68 milioni di richieste di accesso a siti o filmati pornografici, il che significa che almeno il 25 per cento degli utenti ricercano questi contenuti.

Tutta l’industria pornografica, del resto, ha degli interessi enormi nel mantenere questo stato di cose, visto che il loro guadagno è altissimo: si parla addirittura di 97 bilioni di dollari.

Anche se non è possibile eliminare il porno da internet, si dovrebbe comunque rendere più regolamentato l’accesso degli utenti.

E’ infatti la combinazione fra il libero accesso al porno e la totale mancanza di educazione del rischio a a contribuire a tenere in vita questo enorme problema, che raggiunge sempre più casi.

E’ anche stato stimato che 260 soggetti che ogni giorno navigano su internet supportano il porno con qualche forma di abbonamento, mentre sono 260.000 gli individui che cercano su Google informazioni sulla dipendenza da sesso: questo ci fa capire quante siano le persone che lottano contro questa patologia. 

Il nostro compito dovrebbe essere quello di contribuire a rimuovere quella patina di omertà e di vergogna che spesso esiste nelle nostre relazioni, in modo che chi soffre di questa patologia possa uscire allo scoperto ed iniziare a intraprendere quel percorso che lo libererà da questa dipendenza, senza sentirsi un mostro.      

Gli Studi sulla Dipendenza sessuale

Sono diversi gli Studi che sono stati portati aventi da Psichiatri e Psicologi. 

Lo studio sulla dipendenza sessuale “Sex Addiction: Case Studies and Management” si basa su un programma terapeutico innovativo che è stato sviluppato dagli Autori nel corso di molti anni ed è dedicato a chi dipende dal sesso e alle loro famiglie. 

Il programma si basa sulla visione della dipendenza sessuale come un problema molto complesso che richiede un approccio multidimensionale

Un altro Studio ha invece individuato che la dipendenza sessuale è un disturbo dell’intimità che è radicato nelle prime esperienze di attaccamento che sono state compromesse.

Questo indebolimento del legame fa sì che il Sé in via di sviluppo sia avvolto dalla vergogna.

I bisogni e i desideri primari di cure e di accudimento che i soggetti non hanno visti soddisfatti, vengono trasformati in gesti impropri, che l’individuo, per reazione difensiva, disprezza. 

Anche la regolazione degli affetti è danneggiata. La dipendenza sessuale è un ciclo compulsivo che tenta di compensare, lenire e regolare un conflitto interno. 

Nello Studio vengono delineate delle strategie per ridurre la vergogna, regolare gli affetti e creare i confini sessuali necessari per trattare in modo efficace la dipendenza sessuale.

La Dipendenza sessuale nello studio di Stephen Levine

In uno studio del 2010, il sessuologo Stephen B. Levine ha individuato che solo gli uomini con un deterioramento psicologico a spirale – circa il 25% del campione con problemi sessuali – potrebbero soffrire di dipendenza sessuale. 

Questo gruppo ha sperimentato fallimenti psicologici significativi prima dell’inizio dei disturbi.  Un altro 25% è stato invece adeguatamente definito come parafilico. 

Ci sono molti modi in cui l’espressione sessuale può essere eccessiva, problematica o fuori controllo sia negli uomini che nelle donne. 

La società si aspetta che gli adulti gestiscano il loro comportamento sessuale entro certi limiti e parametri.

Queste aspettative danno vita a delle regole non scritte che salvaguardano il matrimonio e ci spiegano perché i comportamenti sessuali di questo tipo sono considerati immorali, immaturi o malati. 

La dipendenza sessuale è correlata alla tossicodipendenza?

L’uso continuato di droghe induce cambiamenti nel sistema nervoso centrale che portano a tolleranza, dipendenza fisica, desiderio e ricaduta.

Un lavoro scientifico-terapeutico molto proficuo è stato compiuto sulla neurofisiologia della tossicodipendenza e dei percorsi di ricompensa del cervello.

Indipendentemente dal fatto che si tratti di alcol, cocaina o tabacco, gli studi indicano percorsi che collegano l’area tegmentale ventrale e il nucleo accumbens, come il fascio mediale del proencefalo e le connessioni tra il sistema limbico e la corteccia. (Bartels, 2004 ).

Anche l’eccitazione sessuale induce stati piacevoli e allevia lo stress.

Spesso vi si associano dipendenza, desiderio e ricaduta.

Non è noto se una stimolazione sessuale eccessiva continuata induca cambiamenti del sistema nervoso centrale, anche se sono sicuramente coinvolti i percorsi di ricompensa dopaminergica; tuttavia, non esistono studi che possano confermarlo, anche se molti pazienti sentono che la stimolazione sessuale agisce in loro come una droga. 

La dipendenza sessuale è un disturbo della relazione?

Si pensa che le origini della dipendenza da sesso derivino dai processi genitoriali del bambino o dalle sue capacità di relazionarsi con chi si prende cura di lui.

I problemi di relazione del presente, come l’indisponibilità sessuale del partner, sono visti come una conseguenza dell’incapacità del paziente di permettere che il sé sia conosciuto intimamente da un altro.

Uomini gravemente portatori di handicap dello sviluppo, soli e frustrati nei loro tentativi di dar vita a vite sessuali “sane”, potrebbero appartenere a questa categoria.

Non tutti sono dipendenti dal sesso

Il Prof. Levine ha suddiviso i suoi pazienti in 5 gruppi differenti: facevano parte del primo gruppo i soggetti che avevano infranto le regole di fedeltà; nel secondo gruppo erano stati inseriti quegli uomini che avevano nascosto le loro scappatelle al partner, nel terzo coloro che chattavano sui siti pornografici, mentre nel quarto erano stati inclusi i soggetti che soffrivano di parafilie.

Nel quinto gruppo erano raggruppati i libertini maschilisti, e solo nel sesto  gruppo erano presenti coloro che soffrivano di disturbi relativi ad un deterioramento psicologico globale e pervasivo. 

Vediamo i singoli cluster più da vicino. 

Sottodivisione 1: 

Nessun eccesso sessuale oltre a infrangere le regole restrittive del coniuge

Sottodivisione 2: 

Scoperta dei segreti sessuali di lunga data del marito

I cinque casi che rientrano in questa suddivisione erano caratterizzati da comportamenti sessuali di vecchia data, egoistici. Poco dopo la valutazione, tre degli uomini sono tornati felicemente alla loro vita di coppia dopo avere lavorato con successo sulle loro idee narcisistiche. 

Sottodivisione 3: 

Nuova scoperta delle gioie del sesso in chat

Dei 4 uomini appartenenti a questo gruppo, tre erano stati a lungo sposati fedelmente fino a quando non avevano scoperto il sesso a pagamento, che ha cambiato le loro vite. Il termine infedeltà sembrava descrivere meglio i loro comportamenti rispetto a quello di dipendenza sessuale. La terapia congiunta di uno di questi casi ha avuto successo.

Sottodivisione 4: 

Il bizzarro o parafilico

Questo cluster comprendeva individui che avevano manifestato problemi già dall’adolescenza e avevano delle preferenze sessuali molto insolite. La maggior parte di questi casi soffriva di vere e proprie parafilie ed era profondamente limitato nel relazionarsi con gli altri in modo amorevole e convenzionale. 

Sottodivisione 5: 

Un diverso concetto di mascolinità

Alcuni uomini credono che sia normale frequentare strip club, il consumo di alcol e la pornografia sono parte integrante dei loro valori, ed hanno un concetto di fedeltà aleatorio. Quando ci si riferisce a loro come dipendenti dal sesso, si trovano molte resistenze perché “gli uomini di solito si comportano così”.

Sottodivisione 6:  

Dipendenza a spirale in deterioramento dal sesso commerciale o illegale

Sono stati incontrati sette uomini le cui vite sono precipitate in uno stato di degrado professionale e sociale. Questi soggetti hanno usato la pornografia e la prostituzione nonché le molestie su Internet per lenire le loro vite travagliate. La loro condotta è stata causata da un importante fallimento personale che ha innescato il peggioramento, ed origine e sintomi della sofferenza sono stati messi a tacere dalla costante stimolazione sessuale. 

Questi individui rivelano un disgusto profondo per se stessi e dipendono dal sesso impersonale per distrarsi dal loro considerevole disagio mentale. 

Chiariamoci le idee

Come con molti alcolisti, è facile per i medici concentrarsi sul modello di dipendenza piuttosto che indagare sulle motivazioni profonde. 

L’infedeltà di per sé, è insufficiente per classificare una dipendenza: sono molti infatti gli uomini che masturbano con la pornografia o hanno relazioni durante una o più fasi della loro vita di coppia. 

Come abbiamo visto dallo studio del Prof. Levine, solo il 25% del campione è stato riconosciuto come un vero dipendente dal sesso: coinvolti in una spirale discendente, questi individui manifestavano una drammatica e disperata ricerca dell’eccitazione sessuale. A poco a poco, la frequenza del bisogno sessuale si è intensificata e i mezzi per ottenerla hanno dominato le loro vite. Questo ha causato la rottura delle relazioni sociali, la perdita del lavoro ed un abbandono emotivo da parte delle loro mogli; a volte, la loro patologia li ha portati a commettere dei crimini gravi. 

L’analogia con la dipendenza era stata dimostrata.

Questi soggetti erano portatori di depressione suicida cronica, disturbo disforico, ipomania bipolare o depressione, fobia sociale ecc. I loro gravi disturbi psichiatrici venivano camuffati dall’insorgenza di questa dipendenza. Bergner ha ipotizzato che molti di loro stiano cercando una via di fuga dal loro senso di degrado.

L’importanza di discriminare 

È evidente che il termine dipendenza sessuale non è appropriato nel 75% di questi casi. Tuttavia, per chi è stato tradito convincersi che il partner soffre di dipendenza sessuale dà una spiegazione accettabile, sembra essere una scusante ed anche un lasciapassare per ottenere cure psichiatriche. Ecco perché è necessario fare una attenta valutazione dei singoli casi, visto che le circostanze e la comprensione dei problemi personali e interpersonali variano notevolmente.

Il DSM-V dovrebbe quindi distinguere tra tutti i casi e cercare sia un termine migliore per denominare la dipendenza sessuale che termini diversi per coloro che non ne soffrono. 

Al contrario, chi ha sintomi gravi dovrebbe essere riconosciuto come un soggetto che dipende da modalità di soddisfazione sessuale del tutto impersonali: sono questi infatti i tratti distintivi della dipendenza sessuale. 

Come curare la dipendenza sessuale

Etichettare tutti gli individui che hanno problematiche della sfera sessuale come dipendenti fa sbagliare approccio terapeutico nel 75% dei casi e non permette a quel 25% che ne soffre di essere curato. 

Alla luce degli studi effettuati, è emersa l’importanza di adottare un programma terapeutico personalizzato per soddisfare le esigenze di diversi individui.

Una volta che lo Psicologo avrà preso in carico il paziente, dovrà essere attuato un protocollo di cura che prevede un team ben coordinato di terapisti specializzati in varie modalità di trattamento.

Le terapie riguardano anche l’approccio di tipo sistemico, dove è tutta la famiglia del soggetto ad essere seguita sia con cicli di  terapia di coppia e familiare che con l’”edu-terapia”. 

L’auspicio è che, grazie anche a questi studi, le cose cambino e le diagnosi diventino finalmente più chiare ed efficaci, in modo che chi soffre davvero di dipendenza da sesso possa uscire allo scoperto e ricevere le cure adeguate. 

Dott.ssa Alessia Pullano
Psicologa e Psicoterapeuta

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    Iperopia: Sindrome del Risparmio

    Il film del 2009 I love shopping, tratto dall’omonimo romanzo di Sophie Kinsella, ha fatto conoscere in modo divertente, ma a tratti anche molto serio, il Disturbo da Shopping Compulsivo.

    Questo è un problema legato al controllo degli impulsi caratterizzato dal desiderio infrenabile di fare acquisti, anche di oggetti che risultano essere inutili.

    Chi soffre di questo disturbo, arriva a spendere somme consistenti di denaro anche in poco tempo, arrivando in alcuni casi a indebitarsi.

    In questi ultimi anni, però, si è sviluppato un altro problema legato alla gestione del denaro, che prende il nome di iperopia.  

    Iperopia: di cosa si tratta? 

    Il termine “iperopia” deriva da “ipermetropia”, perché, proprio come chi ha questo disturbo della vista, che vede bene da lontano, ma ha difficoltà a vedere da vicino, la persona che soffre di iperopia riesce a dare una buona valutazione delle spese future, mentre presenta una grande difficoltà nella gestione di quelle presenti. 

    Se ne parla per la prima volta su un’edizione del New York Times. 

    È detta anche Sindrome del risparmio, o del risparmiatore poiché chi ne soffre è estremamente preoccupato di non riuscire a sostenere le spese sul lungo periodo e cerca quindi di risparmiare il più possibile.

    Fino ad un certo punto questa condotta può essere considerata prudente e non ha effetti negativi, anzi, può aiutare a sentirsi più sereni e sicuri e ad evitare di trovarsi in difficoltà finanziarie in futuro.
    Chi soffre della Sindrome del risparmio, tuttavia, porta questo comportamento all’estremo.

    Come il famoso disturbo dello shopping compulsivo che citavamo prima, anche l’iperopia diventa un vero e proprio problema per la vita quotidiana di chi ne è affetto e per le persone che lo circondano, soprattutto nel momento in cui si arriva a privarsi anche di cose essenziali, pur di risparmiare quanto più denaro possibile.

    Crisi economica e nuove paure

    Questa nuova Sindrome sembra essere una conseguenza del periodo storico che stiamo vivendo e in particolare della crisi economica che ha caratterizzato questi ultimi anni e che si è potenziata a causa delle conseguenze del Coronavirus.

    Molte aziende sono state chiuse, tante persone sono state messe in cassa integrazione o hanno perso il lavoro.


    Una grande incertezza caratterizza il futuro del mondo del lavoro e questo porta tante persone a sentirsi insicure e ad aver paura di quello che accadrà nei prossimi mesi e anni.

    Questo ci rende meno sicuri e ci fa correre ai ripari. Soprattutto in ambito economico ci spinge a rimandare o addirittura evitare del tutto le spese che vengono considerate superflue, come viaggi, cene, serate con amici.

    Ma talvolta queste restrizioni vengono estese anche ad altri ambiti più importanti, come quello dell’istruzione e della salute.

    Ci sono sicuramente casi di povertà, nei quali è effettivamente complicato arrivare alla fine del mese e per cui le rinunce sono una conseguenza del fatto che spesso alcune persone non possono permettersi uno stile di vita più agiato.


    Il problema nasce nel momento in cui non ci sarebbe bisogno di fare rinunce. 

    Secondo gli esperti basta mettere da parte solo il 10% del guadagno per vivere con tranquillità senza preoccuparsi di spese impreviste future. 

    Ma chi soffre della Sindrome del risparmio nel tempo arriva a evitare quasi tutte le spese, dalle più piccole, come il caffè al bar o la pizza con gli amici alle più grandi, come l’acquisto di un nuovo computer o di una nuova macchina o tende a rimandarle il più possibile.

    Il rimorso del consumatore

    Ma cosa succede quando si è costretti a dover affrontare una spesa più o meno imprevista?

    Un altro aspetto che accomuna chi soffre di Sindrome del risparmio è il cosiddetto “rimorso del consumatore”, caratterizzato dal senso di rammarico conseguente a un acquisto.


    Il rimorso del consumatore è una conseguenza di una sorta di dissonanza cognitiva, data per esempio dal provare emozioni negative in seguito a un acquisto necessario o desiderato da tempo.


    Qualcosa che dovrebbe rendere felici e appagati, genera invece un senso di insicurezza, rimorsi e ripensamenti, al punto da arrivare a credere, spesso erroneamente, di aver fatto la scelta sbagliata.

     
    Le emozioni e i pensieri di chi prova il rimorso del consumatore sono tanti e aiutano a capire meglio cosa succede nella mente.


    Sensazione di delusione, tristezza, fastidio, frustrazione, senso di vuoto, continui rimuginii, dubbi sulla reale necessità del prodotto acquistato, fino ad arrivare a temere di essere stati ingannati dal venditore.


    Questi sono alcuni tra i principali vissuti legati agli acquisti, che possono essere provati da chi soffre di Iperopia. Queste emozioni e pensieri spesso si trascinano per giorni, abbassando così la qualità della vita della persona e di chi le sta attorno, familiari, colleghi e amici.

    Le conseguenze psicologiche dell’iperopia

    Le conseguenze psicologiche di questo nuovo stile di vita sono varie e per lo più negative.


    L’ipertopia, con i suoi timori e le sue limitazioni, non consente a chi ne soffre di vivere pienamente la vita. 

    Depressione, ansia e demotivazione sono le principali conseguenze di una quotidianità caratterizzata da continue ristrettezze e rinunce.


    Anche la vita relazionale ne risente. Rinunciare all’uscita con gli amici o a seguire un corso in palestra per timore di spendere troppi soldi, non farà altro che aumentare l’isolamento sociale, creando difficoltà anche nelle relazioni di coppia.

    Come accennato in precedenza, nei casi più gravi si può arrivare a sviluppare un vero e proprio Disturbo Ossessivo Compulsivo, che deve essere curato attraverso psicoterapia e farmaci.

    Il Disturbo Ossessivo Compulsivo – D.O.C.

    Secondo la classificazione del DSM-5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi Mentali dell’American Psychiatric Association, riferimento per tutti gli operatori della salute mentale), il Disturbo Ossessivo Compulsivo è un disturbo psicologico che rientra tra le problematiche legate all’ansia, caratterizzato dalla presenza di ossessioni e/o compulsioni.


    Le ossessioni sono pensieri, idee o immagini costanti, che la persona fa fatica ad allontanare dalla mente.


    Le compulsioni sono invece delle azioni, più o meno complesse e più o meno invalidanti, che la persona si sente di dover fare per abbassare il livello di ansia e preoccupazione generate dai pensieri ossessivi.

    Le ossessioni e le compulsioni sono presenti per la maggior parte della giornata, interferendo con le attività quotidiane (lavoro, studio, vita sociale e di relazione, cura della casa, igiene personale e benessere psico-fisico).

    Nel caso dell’iperopia, in particolare nei casi più gravi, i pensieri ossessivi sono legati alla continua preoccupazione per la gestione del denaro, che viene risparmiato e accantonato in maniera eccessiva (le compulsioni), per timore di non avere abbastanza soldi in futuro. 

    Cosa si nasconde dietro l’Iperopia?

    Dietro la continua preoccupazione del risparmio si cela una grande insicurezza e paura rispetto a se stessi e al proprio futuro, che viene immaginato come incerto e minaccioso.

    Spesso ci si limita nelle spese attuali per timore di non riuscire a coprire eventuali spese impreviste in futuro (una multa, un guasto in casa…).

    Anche persone che non hanno difficoltà economiche possono soffrire di questo disturbo.

    L’iperopia infatti colpisce anche persone benestanti, ma che spesso risultano avere un carattere molto competitivo, sia sul lavoro, sia nella vita privata.

    Qualche volta invece l’iperopia è legata a un periodo di difficoltà economica.

    Chi ha perso il lavoro e ha avuto difficoltà a trovarne uno nuovo, per esempio, può aver passato un periodo complicato da un punto di vista finanziario e ha dovuto “tirare la cinghia”.

    Un’esperienza di questo tipo potrebbe generare la paura che si ripeta una situazione altrettanto difficile in futuro.

    Spesso invece si “corre ai ripari” per garantirsi una buona vecchiaia.


    Il problema è che in questo modo si rischia di non vivere il presente e di non godersi la vita.
    Ricordiamoci sempre che, come dice un proverbio, è molto meglio vivere di rimorsi che di rimpianti.

    Qualche consiglio per vivere meglio

    Come fare per riuscire a vivere più serenamente le spese quotidiane?
    Di seguito alcuni consigli utili:

    • cerca di avere una corretta amministrazione delle entrate e delle uscite. Per aiutarti puoi usare il Kakebo, un metodo giapponese che aiuta a tenere d’occhio le spese. È pensato per chi ha difficoltà a tenere sotto controllo le uscite, ma può essere d’aiuto anche per chi invece ha timore a sostenerle. Con il quaderno Kakebo, infatti, si ha sempre sotto occhio la situazione finanziaria, aiutando a capire quali spese possono essere sostenute e quali devono essere ridotte o rimandate.
    • ogni tanto concediti una spesa fuori dall’ordinario. Essere riconoscenti con se stessi concedendosi qualche sfizio ogni tanto è di grande aiuto per migliorare il tono dell’umore e l’autostima!
    • impara a distinguere cosa è davvero importante e utile e cosa no. Questo ti eviterà spese inutili e sensi di colpa in futuro.
    • se devi fare un regalo cerca di non pensare troppo alla spesa, ma concentrati di più sull’aspetto emotivo, per esempio sui sentimenti che provi per quella persona e su quello che proverà lei quando riceverà il regalo.
    • evita di acquistare oggetti a prezzi bassi, il risparmio è immediato, ma spesso illusorio, perché sinonimo di bassa qualità. Questi acquisti possono avere breve durata, con il risultato che bisogna riaffrontare la spesa dopo poco tempo.
    • acquista solo ciò che ti serve o ciò che ti rende davvero felice. Impara ad ascoltare le tue emozioni più profonde!
    • mantieni l’ordine tra le mura di casa. Anche qui viene in aiuto una giapponese, Marie Kondo, famosa per il suo metodo dell’ordine. Vivere in un ambiente pulito e ordinato ti farà sentire più sereno e tranquillo.
    • investi il tuo denaro. Anziché evitare le spese, prova a investire in beni che possano garantire un piccolo reddito in futuro, come per esempio una casa o un box. Questo aiuterà a immaginare una vecchiaia più serena e tranquilla.
    • se hai molte difficoltà a uscire dal circolo del risparmio compulsivo, rivolgiti a un esperto psicologo o psicoterapeuta vicino a te. Può aiutarti a gestire al meglio la tua vita e a capire le origini del tuo problema.

      Dott.ssa Alessia Pullano
      Psicologa e Psicoterapeuta

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      L’Elaborazione del Lutto

      In questo articolo tratteremo dell’elaborazione del lutto.

      Il lutto può essere definito come “… uno stato psicologico conseguente alla perdita di un oggetto significativo che ha fatto parte integrante dell’esistenza. La perdita può essere di un oggetto esterno, come la morte di una persona, la separazione geografica, l’abbandono di un luogo, o interno, come il chiudersi di una prospettiva, la perdita della propria immagine sociale, un fallimento personale e simili

      U. Galimberti, 1999

      La vita e la morte

      La morte fa parte del ciclo della vita.

      Nel corso della nostra esistenza entriamo, prima o poi, in contatto con questa realtà e, quando succede, affrontiamo un periodo di intenso dolore.

      Siamo travolti da un insieme di emozioni: tristezza, sconforto, incredulità, disperazione, nostalgia e a volte perfino rabbia.

      Spesso proviamo anche dolore fisico, come mal di stomaco, sensazione di avere un nodo in gola, pesantezza nella zona del petto.

      Quando si dice “mi si è spezzato il cuore”, è perché si prova realmente un dolore in questa parte del corpo. Emozioni e vissuti che si susseguono uno dopo l’altro, per un periodo più o meno lungo, che viene definito “lutto”.

      Anche i bambini possono vivere questa esperienza, anche se in modalità un po’ diverse rispetto agli adulti (approfondirò questo aspetto in paragrafi successivi).

      L’essere umano possiede una naturale capacità di superare il lutto.

      Tuttavia, in alcuni casi non riesce ad accettare l’inevitabilità della morte e a elaborare il dolore.

      Un esempio su tutti può essere la morte di un figlio, ancora più dolorosa di altri lutti, in quanto vissuta come qualcosa di innaturale e incomprensibile.


      Un lutto non elaborato, quando si protrae nel tempo, può diventare un vero problema.

      Vedremo in seguito alcuni consigli per affrontarlo più serenamente.

      La morte nella cultura orientale e occidentale

      Nella cultura orientale e in quella occidentale il tema della morte è vissuto in maniera molto diversa.


      Spesso nei film o nei documentari girati in India si vedono sfilare cortei funebri per le strade delle città, tra le persone, vicino alle bancarelle dei mercati. Adulti e bambini partecipano ai riti e stupisce vedere quanto questi siano parte integrante della vita quotidiana.

      In Occidente invece le cose stanno in maniera molto diversa.

      La morte è tenuta lontana e distante dalla quotidianità. Si tende a non parlarne, a non pensarci, a rimandarla più in là possibile nel tempo, a fare gli scongiuri appena viene menzionata nei discorsi.

      Il funerale è un rito durante il quale il tempo sembra fermarsi, prima di tornare alla normalità degli impegni di tutti i giorni.


      La morte è qualcosa della quale se ne conosce l’esistenza, ma che ci illudiamo non riguardi noi, ma solo gli altri.

      Come quando veniamo a conoscenza di qualche fatto al telegiornale. Ne siamo dispiaciuti, ma resta pur sempre qualcosa di molto lontano dalla nostra vita.


      Facciamo molta fatica a realizzare che la morte è qualcosa che riguarda davvero tutti e anche molto da vicino.

      Come reagisce la nostra mente: le fasi dell’elaborazione del lutto

      Secondo vari studiosi il processo di elaborazione di un lutto è caratterizzato da vari stadi, che sono interscambiabili tra loro e possono essere vissuti in maniera differente, per periodi più o meno lunghi e con intensità diverse, da persona a persona.

      1. Fase dello shock. Si ha nei primi momenti successivi alla perdita, durante la quale si fa difficoltà a realizzare quanto appena successo. Si prova disorientamento, incredulità. Questa fase si vive soprattutto di fronte alle morti improvvise.

      2. Fase della negazione, durante la quale si ha un vero e proprio rifiuto ad accettare che la persona a noi cara non ci sia più e spesso questo porta a provare sentimenti negativi, come la rabbia.


      2. Fase della rabbia. E’ una fase complessa, nella quale tale emozione può essere rivolta a se stessi, ma anche al defunto. Spesso si fatica ad accettare tale emozione, che culturalmente siamo abituati a reprimere e a considerare sbagliata, ma che in questo contesto è assolutamente normale e giusto provare. Con il passare dei giorni la rabbia inizierà a svanire, per lasciare il posto ad altre emozioni.


      3. Fase della tristezza. Questa fase è caratterizzata da una maggiore consapevolezza dell’inevitabilità della morte ed è caratterizzata dalla sensazione che non si possa vivere senza la persona che non c’è più e da un umore prevalentemente basso, che in alcuni casi può arrivare anche alla depressione.


      5. Fase della accettazione, nella quale morte della persona viene sempre più compresa e accettata. In questa fase solitamente si aprono anche nuovi punti di vista rispetto a quanto successo.

      6. Fase della risoluzione definitiva del lutto, durante la quale si “lascia andare” la persona che non c’è più e si riprendono in mano le redini della propria vita, tornando a progettare il futuro.  

      A volte la fatica a elaborare il lutto è legata al timore di dimenticare la persona amata.

      Ma non è così. Gli insegnamenti e i ricordi del tempo passato insieme resteranno per sempre fissati nei nostri ricordi. 

      Un lutto elaborato permette di non soffrire più per la mancanza del proprio caro e di riuscire a ripensare a lui e al passato serenamente, con un sorriso.

      Quando il lutto può considerarsi patologico?

      Anche se, come detto prima, il lutto è un processo che avviene in modo naturale e spontaneo e ha una risoluzione, a volte le persone possono trovare grandi difficoltà nell’accettazione della perdita.


      Questo può provocare varie conseguenze a livello cognitivo, comportamentale e fisico, che perdurano nel tempo.


      Di seguito ne elenco alcuni esempi:

      • difficoltà di concentrazione nello studio e sul lavoro
      • problemi di memoria
      • senso di disorientamento
      • idee suicidarie passeggere
      • rimuginio e pensieri intrusivi
      • incubi notturni
      • sensazione che il defunto sia presente nella stanza
      • allucinazioni visive e uditive
      • forte senso di abbandono e solitudine
      • preoccupazione rispetto all’immagine che il defunto potrebbe avere per gli altri
      • sensi di colpa
      • isolamento sociale
      • abbandono di hobby e interessi
      • evitamento o al contrario continua ricerca dei luoghi che ricordano la persona che non c’è più
      • stress, con conseguente abbassamento delle difese immunitarie

      Per lenire il dolore e aiutare la mente nel processo di elaborazione, riprendendo così al più presto la propria quotidianità, possono essere messe in atto alcune semplici quanto efficaci strategie.

      Consigli per favorire l’elaborazione del lutto

      • Vivi le tue emozioni, anche le più negative ed esprimi ciò che provi.
      • Tieni un diario sul quale annotare emozioni, pensieri, ricordi, ma anche poesie e racconti legati alla perdita.
      • Fai visita al cimitero, ti aiuterà a sentire più vicina la persona che non c’è più.
      • Prenditi cura di te e della tua salute. Fai attività fisica e segui una dieta bilanciata.
      • Prenditi cura di chi ti sta attorno, della tua famiglia, ma potresti anche fare del volontariato. Aiutare gli altri ti farà sentire meglio e ti alleggerirà dai tuoi problemi.
      • Parla con chi ha vissuto la tua stessa esperienza. Ti farà sentire compreso e meno solo.
      • Se vuoi, puoi anche fare dei piccoli rituali dedicati alla persona che non c’è più, come accendere una candela ogni sera o dire una preghiera.
      • Evita di assumere farmaci, alcol o droghe per placare il dolore. È una grande tentazione, ma ricorda che quello che provi è assolutamente normale nel lutto ed è funzionale proprio al suo superamento.
      • Passa qualche serata in compagnia delle persone che ti vogliono bene.
      • Coltiva interessi che possano aiutare a svagarti e trovane sempre di nuovi. La vita continua!
      • Se pensi di non farcela chiedi aiuto a uno psicoterapeuta della tua zona, ti aiuterà a trovare nuovi strumenti per affrontare la perdita.

      I bambini e il lutto


      Fra i 4 e i 7 anni i bambini iniziano ad avere sempre maggiore curiosità e consapevolezza di ciò che accade attorno a loro nel mondo. Ed è proprio in questo periodo che iniziano a porre le prime domande relative alla nascita e alla morte. 

      In entrambi i casi, i genitori si trovano spesso in seria difficoltà, non sono pronti e non sanno bene cosa rispondere. Talvolta risolvono fornendo risposte vaghe o cercando di passare la patata bollente ad altri, come insegnanti o zii.

      Rispetto al tema della morte, in alcuni casi i bambini di questa età hanno già avuto modo di entrare in contatto con essa in seguito alla scomparsa di un nonno, per esempio, o di un animale domestico.

      Idee sbagliate

      Quando si affronta un lutto in famiglia si tende a pensare erroneamente che i bambini, soprattutto se piccoli, non comprendano cosa stia accadendo oppure che non abbiano la capacità di tollerare la realtà o che possano vivere la morte come un vero e proprio trauma.

      Si tende quindi a tenerli il più possibile al riparo dalla situazione, al sicuro dal dolore e dalla malattia.
      In realtà i piccoli sono molto sensibili ai cambiamenti e riescono a cogliere anche le più piccole sfumature delle emozioni dei genitori e delle altre persone che li circondano.


      Tenerli all’oscuro di quanto sta accadendo, per esempio della malattia del nonno oppure della sua imminente morte, può innescare emozioni di paura e smarrimento nel bambino, che non riesce a dare una spiegazione a quello che sta succedendo.


      È necessario che i genitori e le altre figure di riferimento, come le maestre o altri parenti, li accompagnino nell’esperienza della perdita, descrivendo con semplicità quello che sta avvenendo e condividendo il dolore dei bambini, per aiutarli a capire cosa sta accadendo fuori e dentro di loro.  

      Un’altra idea sbagliata è quella secondo la quale i bambini non debbano partecipare al funerale “perché potrebbero viverla come un’esperienza traumatica”.


      Il funerale è una funzione religiosa, che fa parte della nostra cultura e che, attraverso i suoi tempi e rituali, aiuta a diventare più consapevoli di quello che sta succedendo, favorendo così l’elaborazione. 

      Anche i cimiteri hanno lo scopo di aiutare chi resta ad affrontare meglio la perdita. E’ un luogo fisico al quale recarsi per incontrare nuovamente la persona che non c’è più.

      Consiglio di spiegare al bambino cosa accadrà durante e dopo il funerale e che ogni volta che vorrà potrà andare a trovare il defunto al cimitero per portargli un pensiero o i fiori.

      Come parlare della morte ai bambini?

      Ma quindi cosa dire ai bambini? Quali parole usare? Come spiegare la morte usando termini comprensibili e rassicuranti?

      È un tema certamente spinoso e difficile, da affrontare con delicatezza e rispetto.

      Personalmente consiglio di parlare ai bambini della morte in modo semplice e sincero, prendendo spunto dalle proprie idee e credenze.

      Chi è particolarmente religioso può per esempio raccontare del paradiso.

      Se non si ha un’opinione particolare rispetto alla morte, è meglio essere sinceri e ammettere di non sapere cosa accade a chi muore, piuttosto che eludere l’argomento, evitando così di generare ansia, paura e incertezza.


      Non dire frasi tipo: “La nonna è volata in cielo, ora ci guarda dalle nuvole” o “Lo zio ci ha lasciati”, perché non forniscono una risposta esauriente, ma possono arrivare a creare addirittura più confusione.

      Evitare anche di raccontare che “Il papà è partito per un lungo viaggio di lavoro” oppure “La mamma tornerà presto a casa”.

      Queste frasi lasciano intendere che la persona prima o poi tornerà e rischiano nel tempo di innescare un’inutile speranza che potrebbe far soffrire ancora di più il bambino.

      I bambini hanno bisogno di conoscere la verità e di avere la sicurezza di potersi fidare di quello che viene detto loro dagli adulti.

      Diversamente, il lutto resterà sospeso, senza possibilità di elaborazione e di integrazione nella mente del bambino e dell’adulto che sarà un domani.

      Cosa succede quando un bambino fa fatica a elaborare un lutto?

      Talvolta i bambini possono avere reazioni inaspettate e apparentemente incomprensibili di fronte alla morte di una persona cara.


      Il problema nasce soprattutto quando queste reazioni durano nel tempo e sembrano non essere modificabili.


      Quali reazioni devono destare preoccupazione?


      – Quando il bambino prova una forte rabbia nei confronti del defunto anche dopo tempo.


      – In alcuni casi, soprattutto se la persona è venuta a mancare poco dopo un litigio, il bambino può sentirsi in colpa e pensare di essere stato lui a provocarne la morte.


      – A volte si possono manifestare reazioni di paura dell’abbandono, per cui il bambino si lega eccessivamente ad altre figure di riferimento, fino a regredire a stadi precedenti di sviluppo o a perdere parte della propria indipendenza (un esempio classico è la paura di dormire da soli o del buio, in bambini che avevano già raggiunto questo traguardo).

      – Talvolta può manifestarsi un aumento o riduzione dell’appetito, con relative oscillazioni del peso.


      – In alcuni caso possono comparire anche somatizzazioni, come mal di pancia o mal di testa.

      In questi casi è ancora più importante incoraggiare il bambino a far emergere le proprie paure, pensieri, emozioni e che lo ascoltino per tutto il tempo di cui ci sarà bisogno.


      Ogni reazione va accolta e compresa senza banalizzarla, poiché ha un significato ed è necessaria all’elaborazione del lutto.


      Consiglio anche di mettere a conoscenza la scuola e le altre realtà frequentate dal bambino della perdita, così da permettere agli insegnanti e gli altri adulti di riferimento di comprendere eventuali cambiamenti nel comportamento del bambino.

      Qualche consiglio per facilitare l’elaborazione del lutto nei bambini

      Ecco di seguito qualche idea per permettere ai genitori e agli insegnanti di supportare il bambino durante un lutto:

      • è importante che i bambini sentano la vicinanza fisica ed emotiva delle proprie figure di riferimento,
      • parlare con il bambino della persona che non c’è più e ricordarla, anche attraverso racconti e disegni, 
      • condividere le proprie emozioni. I bambini si sentiranno più accettati e compresi nel dolore,
      • leggere storie che affrontano il tema della morte (in libreria ne potrete trovare tante, per bambini di ogni età!),
      • scrivere poesie e canzoni da dedicare a chi non c’è più,
      • decorare la tomba del defunto con fiori, peluche, disegni,
      • scrivere una lettera,
      • creare un album con le foto e i ricordi dei momenti passati insieme.

      Non solo la morte di una persona cara

      Esistono anche altre situazioni che la nostra mente vive come un vero e proprio lutto, come per esempio la fine di una relazione o la rottura di una amicizia.


      In questi casi, il cervello attraversa le stesse fasi dell’elaborazione relative alla morte di una persona. Questo perché la mente non distingue tra “morte reale” e “morte figurata”.

      Si tratta, in ogni caso, di una perdita e in quanto tale è vissuta nello stesso identico modo.
      Per questo, spesso si provano gli stessi vissuti di tristezza, disperazione, senso di colpa, ma anche rabbia e risentimento.

      In questi casi, alcune indicazioni viste prima possono essere d’aiuto, come per esempio passare del tempo in compagnia di amici e coltivare nuovi hobby e interessi.

      Dott.ssa Alessia Pullano
      Psicologa e Psicoterapeuta

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        Instagram Stimola la Depressione ?

        In questo articolo analizzeremo la correlazione tra il noto social Instagram e la depressione.

        Instagram: il social delle foto

        Con più di un miliardo e duecento milioni di utenti, Instagram è diventato oggi il Social Network con la crescita maggiore.


        Possiamo dire che sia il Social dell’immagine. Esso consente infatti agli utenti di pubblicare foto applicando filtri e di condividere piccoli video con i follower (le persone che appartengono alla rete dei propri contatti) oppure, nel caso di profili aperti, con tutti gli iscritti al sito.

        È possibile così rendere gli altri partecipi di vari momenti della propria giornata, dei propri hobby, dei luoghi visitati durante le vacanze, ma si può anche mostrare l’ultima torta sfornata o l’ultimo video di una lezione di danza.

        Grazie a questa applicazione, le foto vengono rese perfette grazie ai filtri, effetti fotografici che consentono di eliminare o minimizzare le “imperfezioni”, migliorando i colori e ottimizzando la messa a fuoco degli scatti.

        Ciò che colpisce è la carrellata di splendide case sempre in ordine e pulitissime, panorami mozzafiato, tramonti indimenticabili, piatti che fanno venire l’acquolina in bocca e modelle senza alcun difetto.

        È un po’ come entrare in una realtà parallela nella quale ogni cosa, persona o ambiente è perfetto.
        Per questo, Instagram si rivela una preziosa vetrina pubblicitaria per modelle, attori, ristoranti e in generale per tutte quelle professioni per le quali l’immagine è fondamentale.

        Ma, come vedremo più avanti, questa ostentazione della perfezione può causare anche qualche problema, soprattutto nei ragazzi e nelle persone insicure e con bassa autostima.

        Al giorno d’oggi i Social rivestono un ruolo centrale nella vita relazionale dei più giovani.

        Siti come Facebook e Instagram fanno parte della loro quotidianità e sono un mezzo di comunicazione e conoscenza molto utilizzato.

        Negli ultimi anni Instagram è diventato il Social più utilizzato dagli adolescenti.

        Gli adolescenti e Instagram

        L’adolescenza è un periodo molto delicato della vita che va dai 12 ai 21 anni circa, con differenze sia individuali, sia di genere.

        Nel corso della vita l’adolescenza si pone come un’importante fase di transizione. Sono infatti questi gli anni in cui si passa dal periodo dell’infanzia, durante la quale si vive un forte legame di dipendenza con i propri genitori, all’età adulta.


        Questo periodo è caratterizzato da una serie di cambiamenti che investono sia la sfera fisica-sessuale che quella psicologica-relazionale.

        È soprattutto in questi anni che si forma la personalità e si diventa pian piano sempre più indipendenti dalle figure genitoriali.


        Per fare questo, il confronto con i coetanei e il loro riconoscimento come parte del gruppo sono fondamentali.

        Spesso le trasformazioni a livello fisico possono generare problemi e difficoltà. Tali cambiamenti interessano tutto il corpo, dalla pelle agli organi sessuali, alla voce, alla muscolatura.


        L’immagine corporea conosciuta fino a quel momento viene rivoluzionata in un tempo relativamente breve, senza avere la possibilità di abituarsi gradualmente.

        Al giorno d’oggi, il confronto tra coetanei non si ha più solo di persona, ma anche attraverso Internet e i Social.

        Instagram, con le sue foto, va a mettere sotto i riflettori la vita quotidiana e la fisicità di ognuno incentivando, di conseguenza, il confronto con gli altri.


        In alcuni casi, questo ha fatto emergere purtroppo alcuni episodi di bullismo che hanno fatto sì che, recentemente, gli sviluppatori abbiano cancellato la possibilità di vedere pubblicamente quanti cuoricini (apprezzamenti) ottiene ogni foto.


        Naturalmente questo non basta. Gli adulti di riferimento e la scuola devono intervenire per proteggere i ragazzi da episodi di questo tipo, insegnando una cultura dell’immagine diversa da quella proposta sui Social.


        Ma non sono solo gli adolescenti a cadere nella rete della perfezione promossa da Instagram.

        Anche gli adulti possono trovare alcune difficoltà a differenziare la realtà dalle immagini viste sul Social e a reggere il confronto con altre persone.

        Instagram e il confronto con gli altri

        La perfezione che traspare dalle foto di Instagram, costringe a una continua ricerca del raggiungimento di uno stile di vita ideale, impeccabile, in un eterno confronto con gli altri utenti.

        Questo, se può in alcuni casi essere motivante e creativo, alla lunga può diventare frustrante, fino ad alimentare un senso di inadeguatezza e bassa autostima. E questo, non solo negli adolescenti.

        Tutti, anche noi adulti, possiamo cadere nella rete del “far vedere che va sempre tutto bene”. 

        Il continuo confronto con le vite degli altri, che attraverso i Social siamo portati a immaginare come migliori, più interessanti e più divertenti delle nostre, può portare varie conseguenze negative per la nostra autostima e per il nostro umore.

        Il rischio è di non sentirci mai abbastanza e di alimentare così insoddisfazione e infelicità. 

        Il nostro cervello infatti, tende naturalmente ad avere un costante confronto con il mondo esterno. Il confronto con gli altri è sempre stato fondamentale per la nostra sopravvivenza.

        Inoltre, laddove vi è un’informazione parziale (come può essere per esempio una foto o un commento), la nostra mente tenderà in automatico a completarla, per darle una spiegazione. 

        È così che la foto di un drink sul balcone di casa, viene trasformata, dalla nostra mente, in una serata divertente durante una festa piena di persone interessanti in un locale elegante nel centro di Milano.


        I Social giocano molto con questo meccanismo, che tende a farci restare più connessi e, nei casi più gravi, può anche sfociare in una vera e propria dipendenza, con conseguenze molto negative sulla salute e sulla vita quotidiana.

        Instagram e la depressione

        Nel 2018 il Guardian ha pubblicato una famosa ricerca inglese condotta dalla Royal Society for Public Health, che ha fatto molto scalpore.


        Secondo questa ricerca, Instagram è una causa di depressione e ansia, addirittura in misura maggiore rispetto ad altri Social Network.

        Le immagini eccessivamente perfette che vengono pubblicate su questo Social attraverso foto molto spesso ritoccate, infatti, possono spingere alcune persone a sentirsi inadeguate rispetto agli altri.

        Secondo gli esperti Instagram incoraggia gli utenti a presentare un’immagine accattivante e perfetta di sè, che può far ritenere chi li segue di non essere all’altezza di quella persona e di non potersi permettere lo stesso stile di vita.

        I giovani, per esempio, postano spesso foto con altre persone, in contesti di divertimento.

        Queste immagini possono aumentare il senso di frustrazione nei coetanei più timidi, che hanno difficoltà a entrare in relazione con gli altri o che hanno una bassa autostima.

        È in questo modo che viene alimentato il confronto, aumentando il senso di diversità, la sensazione di inadeguatezza e sintomi legati ad ansia e depressione, come per esempio tristezza e svalutazione di se stessi e delle proprie capacità.

        Ma non solo, spesso si possono sviluppare anche problematiche legate al sonno e difficoltà nel rapporto con il proprio corpo (già tanto complesso nella adolescenza).


        Attraverso questi canali, le ragazze e i ragazzi si confrontano con modelli di bellezza poco realistici, compromettendo così il loro rapporto con se stessi.

        Il cyberbullismo

        Un’altra delle conseguenze più negative dei social network e in particolare di Instagram, è la diffusione del cyberbullismo, una forma di bullismo condotta attraverso mezzi telematici, come chat, siti web, e-mail, sms.

        Si stima che circa il 34% del bullismo oggi sia online e consiste nel far circolare foto o video spiacevoli o scrivere post con contenuti offensivi relativi a una persona in particolare.


        Il cyberbullismo, così come il bullismo, può causare un danno psicologico molto grave in chi lo subisce, poiché va a colpire nel profondo della personalità.

        Siamo tutti a conoscenza di fatti di cronaca in cui si raccontano casi di suicidio conseguenti proprio al cyberbullismo.


        È purtroppo un fenomeno in crescita, poiché il digitale spesso fa sentire il bullo più protetto, in quanto è molto più difficile reperire le informazioni utili a risalire a chi ha pubblicato foto, video o ha scritto i messaggi online.

        Per evitare che questo fenomeno si diffonda, più avanti nell’articolo, vedremo alcuni consigli per i genitori e la scuola, che hanno la possibilità e il dovere di intervenire.

        Consigli utili per non essere sopraffatti dalle foto di Instagram

        Come fare per evitare di passare troppo tempo su Instagram e per non farsi influenzare troppo?
        Basta seguire alcuni piccoli accorgimenti:

        • evita di scaricare l’app sul cellulare, aumentare i passaggi per aprire il sito funzionerà da deterrente e ti consentirà così di accedere meno di frequente alle foto, 
        • ricordati sempre che “non è tutto oro quello che luccica”: le foto sono perfezionate dai filtri e inquadrano solo una piccola parte della scena, 
        • tieni sotto controllo la quantità di tempo passato a utilizzare l’app cliccando “Le tue attività” presente nel menù dell’applicazione. Tra le varie funzioni esiste anche la possibilità di impostare il tempo giornaliero che si intende passare controllando l’app. Una volta raggiunto il tempo impostato verrà inviato in automatico un promemoria che ti ricorderà di aver raggiunto il limite giornaliero, 
        • disattiva le notifiche push sul tuo telefono. Questo ti aiuterà a non cedere alla curiosità di aprire l’app per ogni notifica,
        • distraiti. Leggi, fai attività fisica, scopri nuovi hobby e interessi che ti tengano lontano dai Social,
        • ricordati sempre delle cose belle della tua vita e goditi ogni attimo presente, la vita è fuori dai Social!
        • se ti sembra che i Social siano diventati una dipendenza, che siamo troppo presenti nella tua vita e che ti limitino, ma non riesci a farne a meno, contatta uno psicoterapeuta della tua zona. 

        Consigli per i genitori

        Come possono i genitori aiutare i propri figli a gestire al meglio Instagram?


        A differenza dei figli, i genitori non sono nativi digitali. Di conseguenza, spesso faticano a controllare quello che succede nella loro quotidianità.

        Di seguito elenco alcuni consigli utili:

        • impara a utilizzare Instagram. Apri un tuo profilo personale ti aiuterà a capire meglio come funziona,
        • segui il profilo di tuo/a figlio/a su Instagram. Attenzione: lo scopo non è ovviamente spiarlo/a, quindi non aprire profili falsi con cui seguire quello che viene pubblicato, ma chiedi direttamente a lui/lei di poter far parte dei suoi follower, senza paura di ricevere un “no” come risposta,
        • confrontati con lui/lei sull’uso di Instagram. Parlane e fai domande per capire il modo in cui vive il social. 

        Per esempio: cosa ne pensi di Instagram? Quali sono gli account che ti piace seguire di più? Quali di meno e perché? Conosci tutte le persone che ti seguono? Ti sei mai sentito a disagio per qualcosa che hai visto o letto online? Cosa faresti se ti accorgessi che un tuo compagno di classe è vittima di cyberbullismo sui social?  

        • incentiva la vita fuori dai Social. Invitalo/a a praticare uno sport, incentiva la lettura di un libro, il cinema, la scrittura, un hobby che non preveda l’uso del cellulare o del pc.

        Cosa può fare la scuola

        Anche la scuola può aiutare a creare una nuova cultura dei Social, attraverso progetti creati ad hoc.


        Lo psicologo scolastico, presente in molti Istituti, ma anche gli insegnanti, possono fornire informazioni sul funzionamento dei Social, in particolare su Instagram per aiutare i ragazzi a gestire al meglio la piattaforma e proponendo attività di prevenzione del cyberbullismo.

        Dott.ssa Alessia Pullano
        Psicologa e Psicoterapeuta

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          Come Combattere l’Insonnia

          In questo articolo vedremo i principali metodi per combattere l’insonnia.

          Tutti, prima o poi, ci siamo trovati nostro malgrado a passare una notte insonne, o a vivere periodi più o meno lunghi durante i quali abbiamo avuto difficoltà a dormire e a svegliarci riposati e in forma, pronti per affrontare una nuova giornata.

          Di solito succede in momenti particolarmente stressanti, o in seguito a importanti cambiamenti di vita (inizio di un nuovo lavoro, cambio casa, nascita di un figlio), oppure ancora quando abbiamo qualche preoccupazione che non ci permette di staccare la mente e rilassarci o se non siamo in salute.

          Di solito, passati questi periodi, il ciclo sonno-veglia torna alla sua normalità.

          Esistono tuttavia persone i cui problemi rispetto al sonno sono talmente ricorrenti da non sembrare legati a qualche motivo particolare, ma sono una consuetudine.

          Vedremo di seguito cos’è l’insonnia e come fare per migliorare la qualità del sonno e, di conseguenza, della vita.   

          Le caratteristiche del sonno

          Secondo l’Enciclopedia online Treccani, il sonno è “uno stato di riposo fisico e psichico, caratterizzato dalla sospensione totale o parziale dello stato di coscienza e della volontà”, durante il quale l’organismo si rigenera e recupera le energie fisiche e mentali.

          È caratterizzato dal rallentamento delle funzioni neurovegetative (come la digestione, la pressione arteriosa e il battito cardiaco) e dall’interruzione parziale della connessione con l’ambiente esterno.

          Il sonno è un processo fisiologico fondamentale per la sopravvivenza di tutti gli animali.

          Tra i più dormiglioni ci sono i pipistrelli, che riposano quasi 20 ore al giorno, l’opossum, circa 18 ore al giorno, mentre il koala in cattività può arrivare anche a dormire 22 ore al giorno, per agevolare la digestione delle foglie di eucalipto e il gatto circa 18 ore al giorno. L’elefante, invece, sembra essere l’animale che dorme meno di tutti (circa 2 ore al giorno).

          Altri ancora, come le balene e i delfini, hanno sviluppato la capacità di disconnettere un emisfero del cervello e di mantenere attivo l’altro. Ciò consente loro di restare sempre all’erta per difendersi da eventuali predatori marini.


          L’uomo passa in media circa un terzo della sua vita dormendo.

          I bambini e gli adolescenti dormono più ore rispetto a un adulto e hanno un sonno maggiormente caratterizzato da stadi profondi, che diminuiscono progressivamente con l’avanzare dell’età.
          Ma quali sono le caratteristiche del sonno nell’uomo?

          Le fasi del sonno

          Il sonno è caratterizzato da più fasi, che si dividono principalmente in due gruppi: il sonno Non REM e il sonno REM.

          Il sonno Non REM è il sonno profondo, tranquillo. Il sonno REM invece è quello durante il quale si sogna.

          Queste due fasi si alternano nel corso della notte per un totale di cinque fasi, che durano ognuna tra i cinque e dieci minuti.

          Fase 1: addormentamento. È la fase più leggera durante la quale la muscolatura si rilassa, la temperatura corporea inizia a calare e rallenta l’attività cerebrale.
          In questa fase ci si predispone alla seconda fase del sonno.

          Fase 2: sonno leggero. In questa fase la temperatura del corpo continua a scendere, le attività metaboliche rallentano, i muscoli alternano fasi di tonicità a fasi di rilassamento.

          Fase 3 e 4: sonno profondo. È in questa fase che il corpo e la mente si rigenerano. Il battito cardiaco rallenta, la temperatura corporea scende ulteriormente e le attività metaboliche sono ridotte al minimo.

          Fase 5: sonno REM (Rapid Eye Movements). E’ la fase durante la quale sogniamo. Come dice il nome stesso, è caratterizzata da rapidi movimenti oculari, che sono in contrasto con l’immobilità dei muscoli (diversamente rischieremmo di “agire” i sogni e di farci del male).

          Queste cinque fasi si ripetono ciclicamente più volte per notte e, mentre il sonno profondo ci consente di riposarci e recuperare le energie, il sonno REM permette invece di elaborare i vissuti della giornata ed è fondamentale per migliorare la memorizzazione e l’apprendimento.

          Ecco perché per esempio si consiglia agli studenti di dormire la notte prima dell’esame, anziché passarla sui libri tentando un ultimo ripasso.

          I sogni

          Il sogno è il fenomeno psichico affascinante legato al sonno e in particolare alla fase REM, che comprende varie componenti: percettive, sensoriali, emotive, cognitive e narrative.


          L’attività onirica è fondamentale per il benessere della mente. Essa permette infatti di scaricare l’ansia e lo stress accumulati durante la giornata, di elaborare le emozioni e di archiviare e infine di organizzare e ordinare per categorie gli eventi giornalieri all’interno delle varie aree del nostro cervello.

          Alcune persone sostengono di non sognare mai. Questa è una credenza sbagliata, perché in realtà tutti quanti sogniamo, ogni singola notte, per almeno cinque volte. È solo che spesso non ce lo ricordiamo. Di solito resta in mente solo l’ultimo sogno che facciamo poco prima che suoni la sveglia.

          In psicoterapia, e in particolare nella psicoanalisi, l’interpretazione dei sogni riveste una parte molto importante del percorso terapeutico, in quanto prodotto della mente inconscia. Secondo tali approcci i sogni permettono di accedere a contenuti profondi della mente, fornendo in questo modo maggiori informazioni sul paziente, sulla sua storia, i suoi vissuti e sull’andamento del percorso terapeutico.

          Una categoria particolare di sogni è data dagli incubi, soprattutto quando sono ricorrenti.
          Anche gli incubi si manifestano durante la fase REM e solitamente rimangono particolarmente impressi al risveglio perché carichi di forti emozioni negative, come ansia e paura. Spesso queste emozioni sono talmente forti da svegliarci di soprassalto, con tachicardia e fiato corto.

          Alcuni studi hanno rivelato che i contenuti degli incubi variano a seconda dell’età: nei bambini sono legati prevalentemente a problematiche familiari, nell’adulto sono invece associati a eventi stressanti, a problemi psicoemotivi e a disturbi psichiatrici.

          Gli incubi possono diventare un’ulteriore causa di insonnia, poiché spesso le emozioni negative collegate provocano uno stato di agitazione tale da rendere faticoso il riaddormentamento.

          Quando gli incubi sono particolarmente frequenti, possono diventare indice di un disagio profondo sul quale è consigliato lavorare con un esperto psicologo o psicoterapeuta.

          Quando si fa fatica a dormire: l’insonnia


          Con il termine “insonnia” si indica un disturbo caratterizzato da insufficienza o scarsa qualità del sonno. È un problema piuttosto diffuso nella popolazione generale, alcuni studi calcolano che circa un terzo della popolazione mondiale ne è affetto.

          Secondo il DSM-5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, 2014), l’insonnia è caratterizzata da una insoddisfazione soggettiva riguardo la quantità o la qualità del sonno.
          Anche se i medici consigliano di dormire per circa 8 ore a notte, non tutti abbiamo la stessa necessità di sonno per stare bene, c’è infatti chi ha bisogno di dormire tante ore, chi invece, già dopo 4 ore si sente sveglio e riposato.

          Con l’età il bisogno di sonno diminuisce, ma resta comunque di circa 6 ore.


          I tipi di insonnia

          Esistono vari tipi di insonnia, che si differenziano per il momento in cui compaiono durante la notte o per la frequenza.

          • Insonnia iniziale: si hanno difficoltà di rilassamento e distensione mentale caratteristiche della fase di addormentamento.
          • Insonnia centrale: caratterizzata dalla difficoltà a mantenere il sonno e da risvegli frequenti o protratti nel corso della notte.
          • Insonnia tardiva: si ha quando ci si sveglia presto al mattino, molto prima che suoni la sveglia con conseguente difficoltà a riaddormentarsi.

          L’insonnia può essere transitoria, quando si tratta di episodi saltuari, intermittente, quando gli episodi di insonnia sono ricorrenti a distanza di tempo o cronica, quando si protrae nel tempo.

          Solitamente l’insonnia transitoria e quella intermittente sono legate a periodi particolarmente stressanti per esempio sul lavoro o a temporanee difficoltà economiche, sociali o familiari, a condizioni ambientali sfavorevoli (stanze rumorose, temperature estreme…). Ma possono essere anche una conseguenza del cambiamento momentaneo dello schema sonno/veglia (come il cambio di fuso orario dopo un viaggio) o di effetti collaterali di alcuni farmaci.

          Mentre quasi tutti abbiamo sperimentato nel corso della vita almeno un episodio di insonnia transitoria o intermittente, l’insonnia cronica è più rara e complessa e spesso deriva da un insieme di più fattori, quali:

          1. stress cronico,
          2. disturbi di ansia, caratterizzati da irrequietezza motoria, tensione muscolare, ipervigilanza, apprensione per il sonno, preoccupazione, rimuginio e pensieri negativi,
          3. fobie relative al sonno (legate per esempio alla paura di rivivere incubi ricorrenti o a una paura inconscia della morte),
          4. disturbi dell’umore, come la depressione,
          5. alcune condizioni mediche caratterizzate da sintomi che rendono difficoltoso l’addormentamento (come per esempio la Fibromialgia, il morbo di Alzheimer o il morbo di Parkinson),
          6. altri disturbi del sonno correlati, come per esempio le apnee notturne o la Sindrome delle gambe senza riposo,
          7. fattori comportamentali legati allo stile di vita del soggetto, come per esempio uno stile di vita sedentario o il consumo eccessivo di caffeina, droghe o alcol o fare pisolini nel pomeriggio,
          8. cicli alterati del ritmo sonno/veglia, legati per esempio a frequenti cambi di fuso orario oppure turni di lavoro notturno a rotazione.

          Perché è importante dormire bene?

          Dormire bene è fondamentale per riuscire a mantenere una buona qualità della vita.

          Consente infatti non solo di riposarsi e recuperare le energie, ma anche di rafforzare la memoria, eliminare le tossine e di affrontare meglio le difficoltà e lo stress accumulato durante il giorno.

          Dormire male, di contro, porta una serie di conseguenze negative, come per esempio pensieri ricorrenti e preoccupazioni riguardo al sonno, ansia, scarsa motivazione e maggiore stanchezza e irritabilità, abbassamento del tono dell’umore, difficoltà di attenzione e concentrazione.

          Ma anche sintomi fisici, quali mal di testa, formicolii, tensione muscolare, disturbi gastrointestinali e difficoltà nelle relazioni interpersonali (con familiari, amici, colleghi).

          Nei casi più gravi, quando l’insonnia diventa cronica, le conseguenze possono essere ancora più preoccupanti. L’assenza di un recupero psicofisico adeguato può portare infatti a un aumento di incidenti automobilistici o sul lavoro dovuti alla stanchezza, all’aumento del rischio di obesità, di malattie cardiache e a tendenza al suicidio.

          Cattive abitudini da evitare per riuscire a dormire bene

          Ci sono alcune abitudini che fanno parte della nostra quotidianità e che rendono più difficoltoso l’addormentamento.

          Di seguito alcuni consigli utili per modificarle:

          • non focalizzarti sulla paura di non riuscire a dormire, questa non farà altro che aumentare l’ansia e a rendere ancora più difficile l’addormentamento.
          • evita di rimuginare sui problemi. Se sei in cerca di una soluzione, rimandala alla mattina dopo.
          • non fare una cena troppo abbondante. Se il corpo è impegnato nella digestione la qualità del sonno ne risentirà.
          • evita di fare i pisolini pomeridiani, così da non ritardare troppo il sonno.
          • limita l’uso di PC, Smartphone o altre fonti di luce blu prima di andare a dormire. Questa infatti attiva la produzione di melanopsina, una proteina prodotta all’interno della retina dell’occhio antagonista della melatonina (l’ormone che regola la funzione sonno-veglia) che induce il cervello a restare svegli. Meglio leggere un buon libro o tenere un piccolo diario sul quale scrivere pensieri felici.
          • non bere sostanze psicostimolanti, come caffè, tè o alcolici e non fumare prima di andare a dormire.
          • se possibile, evita di lavorare su turni, in particolare quando a rotazione è presente il turno notturno. I turni sfasano il ritmo circadiano del sonno-veglia, rendendo ancora più difficile avere un riposo rigenerante.

          Rimedi pratici contro l’insonnia

          Ma cosa possiamo fare per migliorare la qualità del sonno?
          Esistono varie strategie che possiamo mettere in atto durante le nostre giornate, per favorire un sonno ristoratore.
          Di seguito ne descriveremo alcune:

          • fai attività fisica leggera all’aria aperta, come una passeggiata. Aiuta a scaricare le tensioni fisiche e mentali accumulate durante il giorno.
          • rendi la tua camera più accogliente. Usa colori neutri o pastello per le pareti e le lenzuola e riposa su un materasso di buona qualità. Usa un cuscino adatto a te.
          • ascolta musica rilassante o i suoni della natura. La maggior parte delle persone trovano particolarmente distensivi il suono delle onde del mare calmo o del vento oppure ancora il cinguettio degli uccelli.
            Altre persone invece si rilassano con il rumore dei tuoni.
            Esistono molti CD o App da scaricare che contengono una grande varietà di suoni della natura. Puoi trovare quelli più adatti a te.
          • immergiti in un bagno caldo per qualche minuto prima di andare a dormire. Ti aiuterà a rilassare i muscoli e a lasciare evaporare i pensieri negativi. Se vuoi puoi aggiungere qualche goccia di olio essenziale di lavanda all’acqua.
          • cura l’igiene del sonno. Vai a letto alla stessa ora tutte le sere e alzati sempre alla stessa ora al mattino, in modo da sincronizzare il ritmo circadiano che regola il sonno e la veglia.
          • bevi tisane rilassanti. Soprattutto nelle sere invernali, bere una tisana calda alla camomilla, biancospino o malva, diventa una coccola che aiuta a dormire meglio.
          • aiutati con i rimedi naturali, come la melatonina oppure erbe come la valeriana. Si possono trovare facilmente nelle farmacie, erboristerie o supermercati. Alcune persone li trovano molto efficaci!
          • pratica una tecnica di rilassamento. La troverai utile non solo per rilassare il corpo, ma anche la mente, allontanando i pensieri negativi. È efficace anche per riaddormentarti in caso di risvegli notturni.
          • crea un tuo rituale, che aiuti la mente a prepararti a dormire. Può essere anche un mix dei consigli visti finora. Per esempio: fai un bagno rilassante mentre bevi una tisana calda e poi leggi qualche pagina del tuo romanzo preferito.
          • rivolgiti a un esperto, medico o psicoterapeuta, nel caso in cui dovessi continuare ad avere difficoltà a dormire.

          Dott.ssa Alessia Pullano
          Psicologa e Psicoterapeuta

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